venerdì 13 marzo 2015

DIS-INTEGRAZIONE

Settimana scorsa i miei figli, sono stati invitati ad una festa di compleanno di un compagno di classe del mio secondo figlio. Alla festa c'erano quasi tutti i suoi compagni di classe; un momento: solo quelli "italian"; sarebbe meglio dire, con una famiglia autoctona italiana alle spalle.
L'interculturalità oggigiorno, è un fenomeno diffusissimo nelle grandi città, anzi, forse è così radicato e comune, che non è più considerato un fenomeno, è la normalità. Gli asili e le scuole hanno una grande partecipazione di bambini provenienti da famiglie straniere e nonostante tutto, l'integrazione non è una prassi adottata in maniera così scontata nelle strutture pubbliche, forse non è neppure contemplata fino in fondo. Questo tipo di problematica l'ho riscontrata per lo più nell'asilo di mio figlio, invece, quando mia figlia frequentava la scuola d'infanzia, non ci sono stati grossi problemi a riguardo; tant'è che le migliori amiche di mia figlia sono state: una bambina filippina, una per metà kenyota e un'altra per metà svedese. L'integrazione in quell'asilo era così naturale da non accorgersi neppure delle differenze culturali tra i bambini, al meno quelle...Certo le famiglie in questo modus operandi, non erano inglobate, ovvero, non erano coinvolte in un progetto che andasse al di fuori della struttura scolastica, nel tentativo di unire le diverse etnie però, l'importante era farlo fare prima ai bambini questo passo, poi di conseguenza, i genitori si sarebbero accodati all'amicizia tra i propri figli. Intendo dire: laddove non arrivano le strutture ci pensano i bambini a colmare le lacune delle autorità.
Nell'asilo di mio figlio, invece, la tematica "integrazione" tra i bambini di differenti paesi, sembra non essere la cosa primaria all'interno della classe, nel senso che, c'è una bella distinzione tra gli italiani e quelli che hanno famiglie straniere. Non sono trattati meglio, per carità, le maestre sono comunque due persone intelligenti, però non incitano allo scambio culturale, non mischiano le amicizie tra bambini e perfino gli armadietti, sono divisi, in maniera abbastanza univoca. Per questo motivo gli amici di mio figlio sono soltanto quelli di famiglie italiane (faccio un distinguo in quanto, per me e la mia famiglia, i bambini sono italiani se sono nati in Italia, anche se il colore della pelle non è quello tipico italico). Mi rendo conto che per una famiglia sia più semplice avere a che fare, con persone che parlino la stessa lingua, però così facendo, non si crea nessuna tipo di aggregazione che vada al di là, della comodità linguistica e soprattutto non si abbatteranno mai quelle barriere che dividono i paesi del mondo, e poi, non si arriverà mai a comprendere davvero un popolo. Questo riguarda anche gli stranieri nei nostri confronti. Dubito che capiscano appieno le nostre abitudini, se qualcuno non spiega loro com'è strutturata la nostra società. Si sentiranno sempre degli emarginati e i figli di costoro, non avranno mai identificata un'identità precisa, sapranno solo di essere ciò che non sono. La convivenza è complicata, non lo metto in dubbio; però, se non viene sviluppato un discorso di integrazione neppure tra bambini della stessa età, che non hanno ancora maturato dei pregiudizi nei confronti dei loro coetanei, allora il compito sarà sempre più arduo in futuro.
Capire chi si ha difronte significa comprendere la sua visione delle cose e grazie a questo, è possibile una convivenza in armonia. Se tale elemento viene a mancare, l'avvenire non prevede nulla di buono.



Nessun commento:

Posta un commento

COME UN ANNO FA

 L'anno scorso siamo rimasti rinchiusi per mesi a causa di un virus letale, sconosciuto e altamente aggressivo, dopo un anno siamo ancor...