sabato 8 marzo 2014

CON LE UOVA NELLE SCARPE

Quello che potevo fare ho fatto, quello che potevo dare ho dato, anche quello che potevo essere sono stato. Mi sento esausto, consumato, prosciugato dalla routine e annientato dall'abitudine di pensare che ciò per la quale mi affatico, sia la sola cosa giusta per me. Ciclicamente torno a pensare di dover fare un cambiamento drastico nella mia vita, di esplorare nuovi orizzonti, di addentrarmi in nuove situazioni per sentirmi vivo, per apprendere qualcosa in più da mettere nel mio bagaglio delle conoscenze, eppure, faccio solo pensieri dai quali ricavo sempre il solito risultato, cioè niente. Per non venire bombardato dal timore di compiere il famoso passo falso, accantono in un angolo remoto del mio cervello, la stuzzicante idea di azzardare ad un cambiamento. Nonostante i miei sforzi di occultamento, questo pensiero resta vivo come un focolaio che spesso sono io ad alimentare, a volte invece il combustibile necessario per ravvivare il fuoco mazdeista, mi viene rilasciato dalla persona più vicina a me di chiunque altra, e ne coprendo perfettamente il motivo. Nelle mie fasi di ribellione impiegatizia, quelle nelle quali sono pronto a rimettermi in gioco in altri ambiti, quelle dove mi sento di poter immergermi a capofitto in nuove esperienze, a conti fatti, resto pronto solo idealmente cioè, con la testa sarei in grado di spodestare anche il direttore della BCE, ma poi la codardia che ho faticosamente coltivato negli anni, mi impedisce di eseguire l'azione che potrebbe rivelarsi vincente. Sono solito credere che la mia situazione attuale sia comoda per me e per la mia famiglia, in quanto sono libero durante le ore diurne e ottenendo da questo alcuni vantaggi come, la possibilità di portare e prendere i bambini da scuola, di recarmi a lavoro in bicicletta, di scrivere i miei romanzi quando lavoro nel cuore della notte, di impiegare il mio enorme tempo libero nel formarmi accademicamente o semplicemente coltivare degli hobbies che a tutt'oggi sono rimasti dei passatempi poco fruttuosi. Quindi sono delle scuse che mi sono accampato perché quello che mi frena dal trovare un lavoro normale e meglio pagato, non sono nè più nè  meno le mie psicosi. Qui davvero metto a nudo me stesso per quello che sto per scrivere. I miei limiti sono dovuti a delle paranoie e fisime mentali che interferiscono con i progetti che prefiggo, tipo delle ansie inspiegabili e un enorme senso di fastidio, derivati dall'insicurezza per lo più, ma forse dalla pigrizia e da una forte inadeguatezza nell'affrontare certe situazioni, che sono alla base della vita quotidiana. E' come se emergesse una repulsione inconscia e da questa partisse un conflitto interiore che mi logora, nel momento in cui vengo collocato in un contesto di normalità. Come se volessi distinguermi dalla massa agendo in modi anticonvenzionali, alternativi e poco ortodossi, essenzialmente per due motivi:
1 perché determinati condizioni mi indispettiscono a prescindere.
2 perché mi sento appartenente ad una minoranza "intellettuale" dalla quale faccio fatica a staccarmi.
Potrei anche fare l'elenco di ciò che mi rende riluttante e avverso ad una normale esperienza lavorativa, ma sono così paradossali che mi vergogno, poiché si potrebbe addurre ad una pazzia latente che preferirei omettere. Per concludere so che devo venire a patti con  un modo di intendere la vita con il quale non arrivo da nessuna parte, devo ammorbidirmi sulle mie convinzioni e sui modi di agire, devo crescere in ambito lavorativo, per cui devo cambiare lavoro.

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