martedì 30 maggio 2017

MA CHE TIPO DI FIGLIO SONO?

La mia condizione di figlio è cambiata da dieci anni a questa parte, ovvero, da quando sono diventato a mia volta papà. L'essere un genitore e allo stesso tempo un figlio, condiziona inevitabilmente il rapporto con la propria famiglia d'origine ed io non faccio eccezione a questa nuova formula di interazione. Quando incontro i miei genitori sento che qualcosa è mutato tra di noi, io non sono più semplicemente il loro figlio sono anche il padre dei loro nipoti per cui ci rapportiamo in maniera paritaria perché entrambi ricopriamo un ruolo genitoriale. Non saprei dire se mia madre e mio padre mi vedono solo come loro figlio, penso proprio di no, e in effetti non mi trattano più come una volta, anzi, posso asserire che il rapporto si è un po' raffreddato ma in maniera naturale, adulta, cioè senza che siano avvenuti avvenimenti che abbiano incrinato il nostro rapporto, semplicemente ha seguito il corso naturale delle cose perciò viviamo prendendo coscienza di questo cambiamento. Anche non vivere sotto lo stesso tetto da più di dieci anni ha influito nella modifica delle nostre abitudini e per quanto mi senta sempre ben accetto a casa dei miei, le volte che ci vado non la sento più come la casa che mia ha visto crescere. Ok, forse non sono un ospite ma poco ci manca.
Da piccolo vivere secondo le regole che i miei genitori mi davano era una condizione inevitabile e non pensavo neppure che potessi vivere in altro modo, ovvero,  quella era la mia casa, quelli erano i miei genitori e basta, non c'erano altre soluzioni e neppure mi veniva in mente di cercarne altre; era un dato di fatto, una certezza e sulla base di quelle certezze ho potuto mettere le basi per crearmi una mia strada. Quando poi sono cresciuto un po' di più rispetto alla fanciullezza, dentro di me ho sentito muovere qualcosa che mi dovesse far allontanare per forza dal tetto domestico, come se l'istinto di andare via mi cercasse per esplorare nuove vie, nuove avventure che però fossero soltanto mie e non dovessi condividere le mie scoperte con nessuno. Il mio desiderio più grande era quello di partire per il mondo e viaggiare da solo. Il mio concetto di solitudine era legato ad un viaggio in solitaria immerso in avventure prodigiose, fatto di spostamenti fortuiti ed incontri memorabili. La verità è che poi sono rimato a casa dei miei fino a venticinque anni e di avventure ne ho anche fatte, però poi sono tornato sempre all'ovile.
Questa lunga premessa mi serve per arrivare a ciò che sono oggi, ma che ancora non capisco bene a quale tipologia di figlio possa appartenere. Sono legato ai miei genitori, ma nonostante questo li sento poco e li vedo ancora meno, sarà perché ho una vita piena di impegni e il dover stabilire un giorno per incontrarli non è poi così semplice e neppure immediato. Con mia mamma c'è uno scambio di messaggi e ogni tanto una telefonata ma non c'è quel rapporto così stretto come può avere mio fratello con lei e con mio papà. Io sono sempre stato considerato come il membro della famiglia più ribelle, non tanto nelle azioni, quanto nelle scelte che ho fatto durante questi anni. Sono cresciuto in un modo completamente differente da ciò che mi hanno insegnato e ho sviluppato una particolare linea di principi che molto spesso non hanno coinciso con i loro. Sì, in effetti si può dire che io sia stata la loro pecora nera, ma poi in verità ho sempre ricevuto tutto l'amore possibile.
I miei genitori forse lamentano un isolamento da quella che è la famiglia che comprende anche nonna, zii, cugini e quant'altro ma non ho mai avuto una grande affinità con i parenti; per non parlare poi del mio ateismo e l'astensione a partecipare a qualsiasi festività, ecco mi ha sicuramente messo in una condizione non favorevole agli occhi del parentado. Pazienza, io ho sempre vissuto secondo i miei principi e mi spiace se non vengano condivisi, ma purtroppo questa è la mia realtà.
Per capire in che maniera vivono questa condizione i miei genitori, devo necessariamente entrare in una sorta di empatia con loro, ma fecondo questo tipo di esempio: se uno dei miei figli venisse su esattamente come me, come mi comporterei? L'amerei per quello che è, senza che le mie opinioni possano in alcun modo cambiare le sue idee e la sua concezione della vita.
In effetti è proprio come hanno fatto i miei genitori.



lunedì 29 maggio 2017

MA CHE TIPO DI AMICO SONO?

A distanza di una settimana esatta dall'addio al celibato del mio amico, mi sono posto alcune domande, una di queste è: che tipo di amico sono per i miei amici?
Purtroppo non avendo il dono di leggere nel pensiero della gente, il modo migliore per rispondere a questa fatidica domanda è cercare di vedermi con i loro occhi.
Faccio molto spesso un'autoanalisi per migliorarmi o solo perché sono un pazzo, che nel proprio essere perde se stesso come si perderebbe in un labirinto (qui la similitudine non è scelta a caso).
Se io fossi un mio amico cosa potrei dire di me?
Dunque: affabile e alla mano. Disponibile all'ascolto e altruista. Simpatico, buono e poco rancoroso. Per nulla irascibile e nemmeno permaloso. Puntuale, onesto e paziente.
Ok, ho fatto una sviolinata delle mie qualità, ma c'è qualcosa di più profondo che in qualche modo ha rotto un legame duraturo con alcuni dei miei amici di lunga data. In definitiva non è successo nulla di eclatante ma le cose non sono più come un tempo e devo capire che cos'è.
Se il rapporto di amicizia si è affievolito la colpa, se di colpa si tratta, sta nel mezzo per cui da ambo le parti qualcosa è cambiato. Dal mio punto di vista posso dire che non sento più la necessità di avere un amico, o forse non ne ho mai avuta.
Devo chiarire il concetto.
Nell'amicizia ho sempre creduto poco, ovvero, non l'ho mai elevato a sentimento così aulico come viene descritto in maniera romantica da un sacco di gente; nel senso, non posso credere che due o più individui, restino amici veri in eterno perché l'amicizia segue delle onde, delle rotte imprevedibili e ogni tanto le strade percorrono un tragitto diverso da quello conosciuto. Gli avvenimenti, gli impegni, la vita individuale porta inevitabilmente a certi traguardi, che consegue tutta una serie di scelte dove alla fine si arriva col perdere di vista quello che è stato un fidato compagno di viaggio.
Nell'amicizia c'è molto opportunismo e volubilità e per mantenere saldo un legame ci vuole impegno. L'impegno però arriva meno quando a consolidare un rapporto non c'è un desiderio fisico ed è qui che differenzia l'amicizia dall'amore. La volontà di stare con la persona amata piuttosto che con un amico passa proprio da questa differenza sostanziale, ossia: l'unione di due corpi.
Tra l'amore e l'amicizia non c'è competizione, a vincere sarà sempre l'amore poiché oltre a tanti sentimenti simili tra i due elementi, nell'amore c'è il desiderio, la voglia di possedere il corpo dell'amata o dell'amato. La persona che si ama può tranquillamente essere anche amica, ma non è vero il contrario poiché sarebbe amore e non amicizia.
Passando da questo presupposto, posso capire che nel rapporto con i miei amici non  ho messo molto impegno a renderlo saldo, anche dopo aver conosciuto l'amore della mia vita. Ho sempre privilegiato la mia famiglia e quelli che erano i miei amici di un tempo devono averlo capito per cui, le cose sono necessariamente mutate fino a diventare un rapporto di mera nostalgia ed a unire quel legame che c'è stato in passato è il ricordo stesso dell'amicizia.
Mia moglie oltre ad essere la mia compagna di vita è anche la mia migliore amica, forse questo ha influito con i rapporti con i miei amici. Però, oltre a questa inconfutabile verità, devo anche aggiungere che probabilmente le amicizie del tempo che fu, non sono state poi così profonde come credevo, anzi, a dirla tutta erano un po' superficiali e non nego che un po' mi rattrista.
Non nell'immediato perché come ho appena detto, ora ho ottenuto l'amicizia di una persona splendida con la quale condivido tutte le mie giornate, ma sento un po' l'amarezza di un ricordo che credevo fosse diverso e invece si è manifestato per ciò che è; ossia: un ricordo di un'esperienza passata e basta, cioè nulla che scendesse più in profondità di un'amicizia adolescenziale (con tutto ciò che comporta essere amici e adolescenti).
Il fatto di non credere così tanto nell'amicizia ha inciso ovviamente nel rapporto con i miei amici, ma questo non vuol dire che non sono stato un buon amico per qualcuno e certamente lo sarei anche per qualcun altro in futuro, l'unica premessa che farei è che il mio ipotetico amico non potrebbe mai sostituire nessuno dei miei amori più grandi, soprattutto ora che i miei figli hanno ancora voglia e bisogno di stare con me e che mia moglie mi ama ancora.
Magari quando raggiungerò una certa età, allora forse sentirei il bisogno di un amico, ma se va di questo passo, credo di non trovarne molti fuori la soglia ad attendermi.
Pazienza, mi consolerò diversamente. C'è anche la possibilità che non ne senta il bisogno e allora vorrà dire che starò vivendo la mia vita in maniera perfetta con la persona che amo e che ho continuato ad amare, il che mi renderebbe molo più soddisfatto che non avere un amico.
Ora, se qualcuno dei miei amici leggesse questo post, potrebbero interpretarlo male ma non è così, io credo che nelle mie amicizie di un tempo di aver messo molta verità e tanta devozione, però a ben vedere mi è tornato indietro poco di quel che ho seminato e ciò consolida l'idea che ho dell'amicizia, ovvero che c'è finché si può ottenere un ritorno, non si può essere amici senza avere qualcosa in cambio e una di queste cose può essere solo passare delle ore spensierate, mica per forza qualcosa di truffaldino.
Concludendo posso affermare che: sono stato un amico sincero, ma ora sono un padre e un marito devoto che non ha più molto tempo, volontà, necessità di coltivare nuovamente un'amicizia. Prendo quelle che ho per quelle che sono; un nostalgico stare insieme.










sabato 27 maggio 2017

I MIEI FIGLI MI FANNO SOFFRIRE

Da piccolo ero un assiduo spettatore del cartone animato più bello del mondo, ossia: Ken il Guerriero. Durante gli scontri finali con l'antagonista di turno, oltre a darsi un sacco di mazzate, parlavano e parlavano per puntate intere nelle quali si arrivava prima del colpo decisivo, alla conclusione che a rendere deboli le persone fosse l'amore e la scelta di essere malvagi, da parte di chi tentava di sconfiggere l'invincibile Ken, veniva adottata come una sorta di protezione, o meglio, la teoria degli avversari era che, per poter sferrare i colpi più duri bisognava avere il cuore privo d'amore.
Negli anni della mia crescita ho pensato molto alla teoria che per non soffrire non bisognerebbe amare e devo dire che ogni tanto non la ritenevo una cosa così sbagliata. Certo, è abbastanza paradossale pensare di non riuscire ad amare mai, tant'è che si dice che anche Hitler amasse i cani, per cui il cuore in qualche maniera si muove verso una direzione incontrollata, senza briglie, senza freni.
Quindi abbiamo stabilito che non amare è impossibile e allora è altrettanto impossibile non soffrire per amore; però c'è un'attenuante ossia, non tutte le sofferenze hanno lo stesso peso. Nel rapporto a due la sofferenza è limitata solo all'altra persona e questa va di pari passo al sentimento che si prova e che viene spesso messo alla prova.
In una storia d'amore adolescenziale per esempio, il sentimento sembra non avere fine, brucia la pelle ed il cuore come se dentro di noi avvenisse un'esplosione tale, da offuscare completamente il cervello. Ma questo è solo l'inizio.
Nel corso di una vita, per quante storie si possono aver avuto, solo poche hanno smosso davvero gli animi e per questo anche le sofferenze provate per la loro rottura hanno dei risvolti emotivi differenti. Ma ciò che accade quando si hanno dei figli è tutto su un altro pianeta.
Credo che l'amore per i figli sia quello più puro in assoluto, non c'è relazione che tenga il confronto e nemmeno quello tra marito e moglie possa eguagliarlo in alcun modo.
La spiegazione è presto fatta: ciò che nasce da un legame forte, solido e indissolubile come quello tra due persone che sia amano, assume una forza inimmaginabile ma così impressionante da restare senza difese. Vedere nascere un esserino che necessita di attenzioni continue, che cresce e si fida totalmente di chi gli ha reso la vita, ha un valore estremo.
La consapevolezza di aver separato il cuore e avergli dato una forma umana è sicuramente una magia meravigliosa. Ma l'animo umano non è così pronto a ricevere un tale colpo cioè, è predisposto ma la gestione di questo sentimento è molto faticosa e dura da sopportare. Avere un carico d'amore così imponente non è semplice da portate perché tutto ciò che riguarda un figlio, dalla salute fisica, alla felicità emotiva, passa necessariamente dal cuore del genitore. E' come se noi fossimo un filtro ma allo stesso tempo una barriera che subisce i colpi della vita per proteggere il frutto del nostro amore.
Quante volte penso a tutto quello che il futuro possa riservare ai miei figli, sia di bello ma anche di brutto e in questo caso, vorrei poterli vivere io per non fare vivere loro esperienze dolorose.
In effetti è vero, l'amore fa male proprio come dicevano gli avversari di Kenshiro, però grazie all'amore Ken ha vinto tutte le sue battaglie, per cui sono pronto a combattere.






martedì 23 maggio 2017

UN TRANQUILLO WEEKEND DI PAURA

Sono reduce da un weekend come non ne passavo da molto tempo. L'occasione per ritrovarmi con coloro, che posso considerare i miei più vecchi amici, è stato l'addio al celibato di uno di questi.
Per mesi si progettava di fare una cosa piuttosto che un'altra e alla fine siamo giunti alla conclusione che nessuna delle attività proposte calzava bene come il dolce far niente, professato per anni dalla vecchia compagnia. L'obiettivo dell'attività ludica è stata una passeggiata nel labirinto della Masone a Fontanellato in provincia di Parma, incorniciato da un cielo plumbeo che ha minacciato pioggia fino all'entrata della biglietteria.
Per quanto avessi il terrore di perdermi e non ritrovare mai più l'uscita, la passeggiata è durata si e no una mezz'oretta, il tempo necessario per guardarsi intorno e scattare qualche fotografia come ricordo, o come modo per trovare la strada. L'idea del labirinto nel mio immaginario era come quello del film con David Bowie, questo era completamente differente ma non perciò meno bello. Va beh, alla fine dopo aver espugnato la vittoria, abbiamo fatto un giro nei dintorni dell'attrazione per poi ripartire alla volta di un casolare, situato in quel di Catelnovo di Sotto. La casa che ci ha ospitato era circondata dal tipico paesaggio di campagna reggino, molto vasto, molto bucolico, ma un po' monotono. Giusto il tempo di riposare un attimo e per cena siano andati in un ristorante poco distante a gustare tonnellate di carne argentina. Io già all'antipasto (di carne) non ne potevo più per cui la grigliata l'ho giusto sfiorata.
Dopo questa abbuffata esagerata siamo tornati a casa e da lì è partito un bivacco infinito, intramezzato da un'altra lunga passeggiata nel cuore della notte, avente destinazione l'unico tabaccaio 24 ore della zona. Si può dire che la scarpinata fino alla piazza è stata la cosa più trasgressiva di tutto il weekend, ma noi sapevamo di certo che l'unico obiettivo era quello di non fare niente e così è stato.
L'indomani a svegliarci è stata un'altra grigliata e onestamente, non ne potevo più di vedere carne davanti a me e di averne dentro lo stomaco, per cui anche in questa occasione, ho mangiato il giusto ma anche quello mi sembrava troppo.
Finita la mangiata ho caricato tutti quelli che sono venuti con me e abbiamo fatto ritorno a casa.
Bene, dopo aver scritto il tema come quello delle elementari, posso dire chiaramente come mi sono sentito in questa gita fuori porta: un po' ansioso.
Da premettere che fino a due minuti prima del ritrovo, avevo detto ai miei amici che non sarei riuscito ad andare con loro, dato che il mio terzo piccolino ha pensato bene di avere la febbre. Non sono partito proprio a cuor leggero e questo ha anche inciso sull'umore con il quale ho partecipato al ritrovo.
In più, quando sono fuori casa in una dimensione che è ben lontana da quella familiare solita, ho sempre quel senso di colpa latente che non mi permette di vivere serenamente un'uscita con gli amici ed è anche per questo che nel tempo ho smesso di vederli di sera dopo il lavoro. La dimensione nella quale non mi rispecchio più, ha su di me un effetto molto complicato da spiegare; cioè mi sento il peso della responsabilità mancata, ossia quello genitoriale, che in quel momento è proiettata verso una ricaduta come quella da pischello che è ben lontana dalla mia vita normale.
Il ritrovamento è sempre meno divertente, cioè si beve poco perché si ha paura che possa venir ritirata la patente e si fuma ancor di meno con l'angoscia che possa succedere qualche disgrazia, come dire che la spensieratezza non c'è più e mai si troverà. Almeno per me ora è così.
Devo essere onesto, non avevo molta voglia di partecipare all'evento proprio perché non mi sento mai a mio agio in queste situazioni, non si fa altro che parlare di cose di poco conto e molto spesso si dicono cose già dette. Anche a distanza di tempo, non si supera mai quell'atmosfera che non è più giovanile, anzi ha solo un vago sapore di nostalgia canaglia.
Il non essere in giro con i miei figli e mia moglie, rende quel tempo che passo con gli amici un po' sprecato perché non è costruttivo per la famiglia, nel senso che tolgo del tempo a loro per dedicarlo a cose di non molta importanza, come il mio divertimento diversificato dal piacere familiare.
E' vero che è giusto ritagliarsi del tempo per sé e non bisogna dimenticare che prima di essere genitori siamo prima di tutto degli individui che hanno il diritto di staccare con il cervello e divertirsi un po'. Ecco per me questo discorso vale, ma per mia moglie no, dato che non ha mai l'occasione di poter vivere un'uscita senza i figli.
Sarà per questo motivo che non riesco a scrollarmi di dosso il senso di colpa?
Forse non riesco a separare il ruolo di padre al di fuori dalla famiglia. Ma io sono un papà che ci posso fare?








giovedì 18 maggio 2017

CASA BACCANO

Chi ha detto che le famiglie numerose sono rumorose, ha detto una grande verità.
In alcuni momenti della giornata, in casa mia si toccano dei picchi di inquinamento acustico tali, da rendere il caos cittadino come una dolce melodia.
La stanza dove avvengono le maggiori attività familiari è il soggiorno e dato che fa anche da cucina, si abbinano diverse attività contemporaneamente; come: la preparazione del pranzo/cena a cui ogni tanto affidiamo al "discreto" Bimby il compito di cucinare; il lavaggio dei panni per mezzo della lavatrice, nonché l'asciugatura dei panni con l'asciugatrice (questi due apparecchi infernali sono in soggiorno) la visione del film alla TV; l'ascolto della musica tramite lo stereo; l'impasto del pane con l'assordante macchina del pane; la lavastoviglie che prende così a cuore la pulizia dei piatti da credersi un lavaggio per le auto e via discorrendo...
Ognuno di questi attrezzi emette il proprio rumore, che se aggiunto a qualsiasi altro aggeggio, diventa insopportabilmente rumoroso.
Questa è solo la parte tecnica del fracasso, poi dobbiamo aggiungere i nostri rumori; ossia: il pianto del piccolissimo di casa, le urla sfrenate del terzo, il lamento a voce acuta del secondo, il richiamo all'attenzione da parte della maggiore, mia moglie ed io che per parlaci dobbiamo sovrastare ogni suono e non manca mai il richiamo all'ordine di qualcuno che sta esagerando con il rumore. Ma sì, mettiamo anche in conto i due gatti che si rincorrono e ruggiscono l'un l'altro. C'è da diventare sordi.
Questo è il quadro generale. Davvero un bel concerto, direi!
Nulla resta in silenzio fin quando non si va a dormire, ma solo quando si è tutti a letto con gli occhi chiusi che la pace regna sovrana. Certo, è probabile che i piccolini piangano durante la notte e allora il silenzio si spezza e la soluzione qual è?
Prendere una casa più grande così che il rumore si possa fisicamente suddividere in più stanze.
Ma anche se saremo più separati, non credo che la casa diventi un convento e questo perché?
Ovvio, perché l'amore non solo lo senti col cuore, ma anche con le orecchie.



lunedì 15 maggio 2017

MUSICISTI VS. MUSICOLOGI

La musica è sicuramente la mia più grande passione e per questo motivo cerco di onorarla ogni giorno. Ascolto musica sempre e quando non lo faccio mi sento scomodo, come avessi qualcosa fuori posto come una maglietta messa al contrario o un calzino scivolato dentro la scarpa.
Il vero modo di celebrare la musica è suonarla, poiché un vero appassionato non può solo ascoltarla ma deve in qualche modo produrla, farla propria, esprimere ciò che sente attraverso l'uso di uno strumento; almeno, questo è quel che credo.
In passato ho conosciuto dei veri intenditori di musica ma che non hanno mai provato a suonare alcuno strumento, il che li rende credibili fino ad un certo punto perché se non si suona per davvero è difficile capire esattamente cosa esprime il suono di uno strumento, che cosa si crea nel momento in cui si decide di far nascere una canzone, quel che si prova a essere parte integrante del suono. E' un po' come se costoro fossero dei filosofi che hanno interiorizzato delle nozioni importantissime ma che non si siano mai messi alla prova con una conferenza filosofica; oppure è come se fossero degli istruttori di guida ma che non abbiano mai afferrato un volante; per dirlo nel linguaggio musicale: stona un po'.
Comunque, ne ho conosciuti alcuni e uno di questi è stato un mio vecchio amico con il quale ho iniziato a mettere le basi della mia cultura musicale. Io ho proseguito con lo studio della batteria, lui ha scelto di continuare ad essere un ascoltatore e per quel che ne so, ora lavora in radio.
Per cercare di ampliare la mia personale cultura musicale ascolto veramente di tutto (anche se ciò che preferisco è il rock) eppure, mi sento come se non fossi del tutto preparato. Ci sono decine di centinaia di gruppi famosi che ancora non conosco, oppure altre migliaia che non ho idea di chi siano, compositori di cui conosco solo di nome ma che non riuscirei a indovinare nulla della loro produzione se ne ascoltassi un'opera. Per farla breve posso dire che: la musica è talmente vasta e differenziata che è impossible conoscerla tutta.
Negli anni sono stato appassionato di certi generi che poi ho lasciato per abbracciarne degli altri, ho ascoltato il metal, il rap, il punk, il grunge, l'hardcore, il reggae, il rock e non trascurando mai del tutto il pop. Così facendo ho creduto che fosse il modo migliore per avere una grossa infarinatura generale, senza perdere di vista nulla. E nonostante la mia dedizione nell'ascolto globale, mi sento sempre molto impreparato quando parlo con i miei amici di musica.
Quando si tocca l'argomento musica a volte sento nominare delle band che non ho idea di chi siano e magari hanno pubblicato almeno un paio di dischi. Molto spesso si prova un enorme piacere nel conoscere dei gruppi spariti dalla storia o quelli che ancora non sono diventati famosi a livello internazionale. Non c'è niente da fare, la musica è una mania.
Quante volte mi sono sentito dire: "Ma te che sei un musicista, come fai a non conoscere..." (questa frase solitamente viene detta da chi non suona) e allora vado in crisi perché posso sembra un ciarlatano. L'idea che molto spesso hanno i musicologi dei musicisti è che debbano sapere ogni cosa prodotta, altrimenti non possono considerarsi tali. Perché è permesso ad un musicologo di non essere un musicista, ma è vietato per un musicista non essere anche un musicologo.
L'altro giorno ho sentito a Virgin Radio, una dichiarazione di Lars Ulrich che ha detto: "Ho scoperto più gruppi e cantanti in questi sei mesi che negli ultimi dieci anni. (Il batterista dei Metallica ha preso parte ad un progetto radiofonico per beneficenza, se non ricordo male) Oh, e se lo dice lui che suona da quasi quarant'anni posso sentirmi sollevato.
A volte mi sono appassionato a band/cantanti che non hanno avuto un grande riscontro o per lo meno, non in certe cerchie di persone che sanno vita morte e miracoli di un solo genere e per questo si sentono giustificati a non saper nulla di più.
Io invece ho sempre pensato che fossilizzarsi su un solo genere fosse limitante e per questo ho voluto conoscere anche tutto ciò che è reperibile nel panorama musicale.
A volte penso di avere una preparazione prettamente commerciale e non così dotta rispetto ad altri che potrebbero tenere conversazioni di ore parlando di un solo gruppo. Però poi rifletto e mi dico che
l'importante alla fine è sentire le musica che più mi piace e che mi renda felice, perché in fondo ognuno di noi apprezza quel che vuole e trova nella musica sempre qualcosa di bello.






giovedì 11 maggio 2017

AMARA E' LA FINE

Oggi ho mandato la mail al mio capo giapponese in cui gli spiego che purtroppo non ho più tempo a disposizione per seguire il progetto del corso Washoku. Gli ho scritto che il lavoro qui in ufficio è aumentato così tanto da dover lavorare anche di giorno, senza aggiungere poi che sono in procinto di cambiare casa e mi aspetteranno dei giorni decisamente complicati. Ho aggiunto anche che la mancaza di una piccola retribuzione per stare dietro agli aggiornamenti del sito e dei social richiede del tempo (che non ho) e perciò è giusto che mi venga riconosciuto lo sforzo. Ebbene, dopo la mia mail: il silenzio di tomba.
Per carità, capisco che ci possa essere rimasto male e capisco anche che potrebbe avere difficoltà nel rispondermi, ma dopo tutti quei mesi di lavoro o meglio di volontariato, se lo doveva un po' aspettare. A me dispiace molto perché nel progetto ci ho creduto fin dall'inizio e ho dato tutto me stesso nel portare a termine i compiti che mi venivano asseggnati con scrupolo e dedizione. Ho sempre presenziato puntualmente agli incontri con chiunque e sono andato ad ogni riunione convocata nelle zone di Milano più disparate facendo poi i salti mortali per arrivare puntuale all'altro lavoro. Stavo sveglio fino a notte fonda per correggere le mail, tradurre le pagine del libro di testo, progettare volantini e quant'altro tutto sempre senza chiedere nulla.
Ora, non voglio fare la vittima e nemmeno l'incompreso, però sento di avere la coscienza a posto e non posso recriminarmi nulla.
Nonostante mi sia sbattuto come un matto, ho visto i miei sforzi non essere pienamente apprezzati e anzi, il mio ruolo è stato messo da parte ogni giorno di più, tant'è che chiunque abbia fatto anche solo per una volta quello che per mesi ho fatto io, è stato prontamente retribuito.
E allora io? Cos'ho scritto in fronte: Giocondo?
A tutto c'è un limite e io penso di averlo superato.
Ribadisco che mi dispiace un sacco, ma ora ho altre priorità.
Spero che comunque i rapporti non vengano troncati di netto e che si capisca che la situazione creatasi è frutto una grande confusione dove ho tentato di mettere un po' d'ordine ma non ci sono riuscito.


martedì 9 maggio 2017

QUANTA PAZIENZA...

Quando andiamo in giro al completo, ovvero con tutti i bimbi al seguito, la gente che ci vede per prima cosa ci fa i complimenti per il numero dei nostri figli, ma subito dopo escono espressioni come:
"Ma come fate?" "Certo che siete coraggiosi!" oppure "Non avete nessun aiuto?" "Non vi invidio proprio, già noi facciamo fatica a gestirne uno..." e cose di questo genere. Ovviamente noi rispondiamo con sincerità nel senso che sì, non è semplicissimo ma non potremmo fare in maniera diversa. Vivere in una famiglia numerosa è impegnativo e questo di certo non lo nego, ma la nostra famiglia funziona solo così e sarebbe impossible vivere diversamente.
Altre volte mi sono sentito chiedere, quale sia il segreto per far funzionare le cose, in tutta franchezza non so mai cosa rispondere, forse l'ingrediente che serve per amalgamare e rendere tutto compatto, come la farina nelle torte, sicuramente è una massiccia dose di pazienza.
Questo per dire che destiamo molta curiosità nella gente che ci vede.
Ah, stavo dimenticando!
A proposito di curiosità; l'altro giorno la pediatra dopo aver visitato tre figli su quattro, ha chiesto a mia moglie se il numero dei figli influisse in maniera negativa sulla nostra vita matrimoniale. Cioè era curiosa di sapere se nella sfera intima tutto andasse come deve.
Beh, mia moglie è rimasta leggermente imbarazzata da questa domanda e ha dissimulato nel rispondere, bofonchiando qualcosa di poco chiaro e poi ha fatto cadere il discorso.
Ma dico io, già è indelicato se lo chiede un'amica, figuriamoci quando a chiederlo è un medico con la quale non si ha un minimo di confidenza, comunque... Io ero fuori dallo studio con i due maschietti che attendevamo la vista del piccolissimo, ma se solo fossi uscito un attimo dopo le avrei proposto di partecipare ad un incontro amoroso, invitandola a portare con sé una videocamera così che potesse convincersi della veridicità, della passione e dell'impegno che ci mettiamo da quasi undici anni mia moglie ed io. Ok; magari non sarebbe stato tanto elegante come invito, però nemmeno lei è stata tanto discreta a ben vedere.
Il titolo del post dice "Quanta Pazienza" ed è vero, ce ne vuole parecchia per redarguire, educare e crescere i figli, ma ce ne vuole altrettanta anche per tenere a bada le persone che si sentono in diritto di dire quello che gli passa per la testa.


sabato 6 maggio 2017

SOLE, LUNA, STELLE E ANCORA LUNA

Qualche tempo fa riuscivo ad aggiornare quotidianamente il mio blog, scrivendo tutto ciò che mi succedeva senza troppe difficoltà, ora è già tanto se riesco a farlo una volta a settimana.
La sera a lavoro è diventato praticamente impossibile prendere del tempo per poter aggiornare queste pagine, poiché è invivibile il turno di sera ed è per questo che ho chiesto alla mia capo di poter fare anche dei turni di mattina; ebbene, sono stato accontentato.
Non sarà questa settimana bensì la prossima, che proverò l'ebbrezza di lavorare come una persona normale, oddio, sono solo due giorni a settimana ma per me e per la mia famiglia significa tanto essere a casa due sere in più. Cenare con i miei figli, dare una mano a mia moglie la sera, andare a dormire ad un orario decente, sono tutte cose che faccio pochissimo e la possibilità di poter essere presente come quasi tutti i papà che conosco, mi rende parecchio felice.
Lavorare la sera/notte ha il suo fascino non lo nego, c'è un'atmosfera diversa rispetto a chi lavora di giorno e anche i colleghi hanno un atteggiamento e un'attitudine che non si allinea facilmente con chi viene considerato "diurno", però c'è da dire che anelo ad una situazione molto più canonica, più standard e tranquilla ed il fatto di essere stato alternativo anche negli orari di lavoro, ora non riesce a competere con la mia voglia di serenità familiare.
Devo anche aggiungere una certa stanchezza fisica quasi cronica che mi impedisce di fare le cose in maniera leggera, anzi, mi sento davvero uno zombie che trascina dietro la sua fatica.
Sarà che sto diventando vecchio, ma non posso fare a meno di pensare che una volta avevo l'energia e la voglia di fare le ore piccole sempre, adesso le mie priorità sono cambiate e l'esigenza di un po' di relax mi chiama ogni sera che mi sdraio nel letto.
Comunque adesso sono le 2.00 di notte e non mi sono ancora messo a dormire. Ho detto che la stanchezza mi colpisce, anche se riesco ancora a sferzare qualche colpo di difesa nei confronti del sonno. Forse aver appena fatto una doccia fresca, ha contribuito a svegliarmi.
Lo so, lo so. Ho gli orari sballati. A poco a poco rimedierò.






lunedì 1 maggio 2017

ATTACCATO AI MIEI CAPELLI, MA NON HO L'ATTACCATURA DEI CAPELLI

E' da parecchio tempo che non taglio i miei capelli, all'inizio la causa era dovuta ad una mancanza di tempo, poi con il passare dei giorni, i capelli sono cresciuti tanto fino ad ottenere una serie di fili sparsi in testa, laddove ancora ce ne sono. Il risultato non è il massimo, anzi, a dire la verità sono abbastanza orribile, eppure, la chioma folta è uno di quei retaggi che ancora mi è rimasto "in testa" eheheh...
So perfettamente che avrei dovuto evitare di arrivare ad un risultato di questo tipo, avrei dovuto prendere la mia macchinetta e rasare ogni bulbo come faccio da dieci anni a questa parte. Forse il problema sta proprio in questo, ossia: non avere nessuna alternativa alla testa rasata, perciò ho pensato di farli crescere così da vedermi un po' diverso dal solito.
Ci sono dei vantaggi ad avere la testa senza capelli; come:
1. aspetto ordinato.
2. lavaggio rapido della testa.
3. testa più fresca.
E poi?
Diciamoci la verità, questi sono dei vantaggi da poco, a me piacerebbe avere tutti i capelli intesta come ce li avevo una volta ed è per questo che mi sono fatto crescere quel poco di capelli che mi restano. E' pura nostalgia.
Fra non molto tornerò a rasemeli e scenderò a patti con questo moto nostalgico. Anche se c'è una possibilità di tenerli ancora un po', ovvero ci sono dei precursori di una nuova moda nel portare una stempiata importante come la mia, basti pensare a Lino Banfi, Amedeo Minghi e Keith Flint dei Prodigy, forse quest'ultimo è quello che più mi si addice.


COME UN ANNO FA

 L'anno scorso siamo rimasti rinchiusi per mesi a causa di un virus letale, sconosciuto e altamente aggressivo, dopo un anno siamo ancor...