lunedì 24 marzo 2014

UNA CORSA, UN VIAGGIO

L'auto sfrecciava veloce sulla strada desolata che li proiettava verso un nuovo mondo, verso un nuovo inizio. Il sole batteva così forte da rendere torrida persino l'aria che entrava dai finestrini abbassati, creando all'interno dell'abitacolo un vortice di foglietti abbandonati e cenere di un milione di sigarette, spente con noncuranza durante l'interminabile viaggio. Il serbatoio era pieno, da poco rifornito fino all'orlo, il ché avrebbe significato diversi chilometri da macinare ancora, prima dell'esaurimento, prima che si accendesse di nuovo la spia della riserva. Dove fosse il traguardo, la destinazione ultima, nessuno dei due lo sapeva con certezza. La strada dava loro la possibilità di scegliere qualunque località anche la più lontana, la più remota, quella dove avrebbero speso il resto della vita oppure un quarto d'ora di pausa, per poi ripartire con la stessa velocità. La radio sparata a tutto volume era un sottofondo isterico, ma che tra un'interferenza e l'altra, riusciva comunque a trasmettere del buon rock selvaggio tanto quanto loro. Lui era con gli occhi incollati all'asfalto, mentre lei si perdeva nei paesaggi desolati, sfreccianti come saette di un diluvio estivo, sotto la folle corsa dell'auto. Distingueva poco e ne ricordava ancora meno, tutto uguale a se stesso, solo distese di prati brulli, alternati a piantagioni infinite di un cereale così comune da renderlo banale. Non un albero, non una casa, qualche mucca rassegnata ad una vita di eterno sfruttamento e pochi cavalli trattenuti dal caldo di quella giornata. Si erano detti così tante cose durante il viaggio, che ora il silenzio sembrava essere una novità ancor più allettante, di una notizia inedita o di un pettegolezzo da rotocalco di quart'ordine, letto in una sala d'aspetto di un medico ciarlatano. Quello era il terzo giorno di fila che sfrecciavano sulle strade desolate di un afoso giugno inoltrato, si fermavano solo quando la temperatura diveniva più fresca ed accettabile, per poi sdraiarsi sul prato umido della sera con l'intento di rifocillarsi e di farci sopra l'amore. Correre e scappare via dalle convenzioni di una vita inchiodata alla croce della routine, in nome del progresso, del benessere e del sistema capitalistico. Entrambi erano convinti di poter vivere di espedienti prendendo dalla natura solo lo stretto necessario, e viaggiare finché ne avrebbero avuto sia la voglia che le possibilità. Lui si era prefissato come obiettivo quello di correre fino alla distruzione dell'auto sulla quale viaggiavano, per poi proseguire a piedi e raggiungere i boschi delle montagne al confine tra il mondo conosciuto e l'ignoto. Lei aveva semplicemente scelto di seguire lui, senza pensare di dover giustificare la sua scelta a nessuno, prima di tutti a suo marito, che la sapeva in viaggio di lavoro. Si chiedeva quando si sarebbe reso conto, che non avrebbe fatto più ritorno a casa da lui e dalle sue dannate bottiglie di whisky. Forse si sarebbe accorto della sua sparizione, soltanto nel momento in cui gli sarebbe passata l'ennesima sbronza e non avrebbe avuto più nessuno che corresse per lui a comprare dell'altra acqua di fuoco. Lei teneva alto il dito medio verso il cielo sperando che si potesse materializzare davanti agli occhi di quel vecchio ubriacone, scelto tre anni prima come marito e fuggito da lui, come il suo solito rigurgito mattutino. Una mano dal volante si era alzata per portarsi fuori dal finestrino, replicando il gesto della compagna di fuga seduta al lato passeggero. Le dita di entrambi appoggiate al tettuccio dell'auto, trasformavano il loro mezzo di trasporto, in un grosso bisonte azzurro con un paio di piccole corna poste sulla testa, in piena evoluzione di crescita. La musica assordante copriva le loro risa d'intesa e di complicità.
Lui si stava sgranchendo le gambe e la schiena dopo tutte quelle ore di guida, concentrata a non far ribaltare la bisonte-mobile. Lei fissava il tramonto con gli occhiali da sole scuri, sui quali i deboli raggi si riflettevano lontani. Quello era il momento della giornata preferito da entrambi, in cui si spogliavano completamente dei loro vestiti impolverati e umidi di sudore, e si abbandonavano alla freschezza della sera, mentre si accarezzavano vicendevolmente come conferma di non essersi persi durante la corsa. Si nutrivano con poco, qualche sorso di acqua per nulla fresca e un paio di morsi a testa su ciò che restava del cibo avanzato del giorno prima. Quando la luna era alta nel cielo e le stelle coprivano ogni angolo di oscurità, si avvinghiavano stretti l'un l'altra per perdersi in caldi abbracci e focosi gesti d'amore. A svegliarli ogni mattina erano i tiepidi raggi del sole alla nascita, che avevano la stessa intensità di quelli che li avevano accompagnati verso la sera, pronti a destarli verso una nuova giornata di corsa interminabile nella quale avrebbero consumato benzina ed ogni reticenza al ritorno della vita passata.

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