sabato 30 novembre 2013

SOTTO IL SEGNO DEL KOALA

Se l'ozio è il padre dei vizi, io sono suo figlio legittimo. Ci sono momenti in cui anche solo il pensiero di fare qualcosa come respirare, mi tramuta in una specie di macigno granitico ed irremovibile attaccato alla parete rocciosa della catena montuosa degli Urali. Quelli sono giorni in cui mi fossilizzerei su qualsiasi superficie pur di alzarmi e compiere l'azione, che altro non è che uno sbattimento, anziché mettermi in moto, armarmi di pazienza e buona volontà e fare ciò che dovrei fare. Il fatto che a volte la pigrizia mi avvolge come una coperta in lana merinos, talmente pesante da impedirmi di agire. Non che ci stia male per questo anzi, sono ben contento di non fare nulla, almeno pensare di non fare nulla, cioè non mi sento in colpa per questo, anche perché è praticamente impossibile per me astenermi dal fare qualunque cosa. Avere una famiglia implica un impegno continuo su tutti i fronti, anche mantenere decente una casa richiede un dispiego di forze non indifferente, quindi non è materialmente fattibile che io possa escludermi come un elefante sulla via del tramonto. A dire la verità non fare assolutamente nulla mi annoia non poco. Stare con le mani in mano, guardare per aria e perdere tempo inutilmente, lo trovo uno spreco, e si sa quanto io ci tenga a questo elemento. Forse la cosa più corrette da dire, a pensarci bene sarebbe: detesto fare le commissioni. Nel corso delle settimane, vuoi per un motivo o per un altro, mi ritrovo a dover andare in luoghi affollati, caotici e spesso troppo caldi e puzzolenti, nei quali, a presentarsi puntualmente oltre a me, ci sono due milioni e mezzo di persone che mi precedono. I posti che non sopporto sono l'emblema della scocciatura per tutto l'emisfero terrestre e sono: l'immancabile posta, la banca, le asl (medico e affini) e i supermercati. E' chiaro che è impossibile non venire a contatto con questi luoghi, sono stati ideati per uccidere l'animo delle persone e tutte le attività che si svolgono al suo interno devono essere fatte per forza, non si scappa. Ma quanto sarebbe bello stare a casa e far fare ad un clone, un androide o anche solo ad un fantasma, ciò che non mi piace. Purtroppo non è stato ancora inventato un -SCANSA-SBATTIMENTI-PERSONALE- che all'occorrenza si possa usare per evitare di perdere metà della vita, rimanendo in piedi come pali della luce, ad aspettare accodati ad un'interminabile fila. Quanto invidio la vita del marsupiale australiano. Non fa altro che dormire tutto il giorno appeso ad un albero, mangia chili e chili di eucalipto senza compiere il minimo sforzo, apre gli occhi solo per guardarsi intorno e non rompe a nessuno. Nella mia prossima vita spero di reincarnarmi in quell'animaletto buffo con la faccia da tonto ma molto simpatico. Sono certo che non farei fatica ad apprendere le sue basilari ed oziose abitudini, a dire il vero forse le ho già apprese ancor prima che me ne rendessi conto.

martedì 26 novembre 2013

IL VECCHIO DALLA LUNGA BARBA BIANCA.

Credo fortemente di essere ossessionato dal tempo, sia quello di tutti i giorni che si tiene d'occhio con l'orologio, sia quello futuro più proiettato lungo l'asse indecifrabile del corso della vita. Per quello che riguarda il primo caso, sono schiavo delle lancette. Appena apro gli occhi la mattina, è per me una corsa contro il tempo, sembro il Bianconiglio di Alice nel paese delle meraviglie. Ho l'ansia di arrivare in ritardo agli appuntamenti fissi, come le scuole dei figli, le prove in studio del giovedì e l'immancabile lavoro quotidiano. Per ovviare al problema di arrivare tardi, mi tengo largo sulla tempistica nello svolgimento della data azione in corso, o in programma, e mi muovo decisamente in anticipo, il tutto fatto con molta fretta. Questo modo di fare mi è stato imposto fin da piccolo da i miei genitori. Per loro, ogni volta che avevamo in programma di recarci da qualche parte, bisognava uscire prima, per evitare qualsiasi incognita. Durante la preparazione poi, era tutto un muoversi rapido con il continuo incitamento a fare più veloce. Ahimé lo stesso sentimento di ansia lo sto riproponendo nella mia famiglia, eppure non lo faccio di proposito, purtroppo mi viene naturale.
Il tempo in senso metafisico, quello incalcolabile, quello incognito, il futuro per intenderci, mi trascina in un baratro profondo di pensieri. Penso spesso a come sarò da più vecchio, come saranno i miei figli, se mi daranno motivo di preoccupazione continua, se saranno soddisfatti della loro vita. Penso anche a come saranno i rapporti con mia moglie, se saremo sempre felici, se il lavoro prima o poi lo cambierò, se avrò mai successo in qualche modo. Ciò che mi attende che però non conosco, mi tiene sulla corda come un macigno gigantesco appeso ad una fune, in più questo peso lo aumento ogni giorno con l'attesa di scontrarmici. Come dire, sono tremendamente curioso di sapere come andrà la mia vita, ma anche angosciato di sapere l'esito definitivo. Tutto il giorno penso a questa cosa. Ogni momento rifletto, mi auguro, invento, faccio progetti, e proietto le mie paure e desideri su ciò che ancora dovrà verificarsi, lasciandomi chiaramente senza risposta. Sarà che dopo tutto, ci perda troppo tempo a pensare quello che nessuno può sapere? Non so, ormai è troppo tardi per tornare indietro.

mercoledì 20 novembre 2013

A QUALE ETA' SI DEVE SMETTERE DI FARE L'AMORE?

In questi giorni oltre al mio anniversario di matrimonio, ho sentito di altri che hanno festeggiato per lo stesso motivo, ma con anni ben diversi dal mio. Chi ne ha festeggiati 35, chi 25, altri addirittura 50, cioè c'è un sacco di gente che sta insieme da sempre, ed è qui che è partita la mia riflessione. Penso quasi tutti risponderebbero che non si dovrebbe smettere mai, o per lo meno, finché il fisico regge si può tirare avanti. Però quello che mi incuriosisce, non è tanto il fattore fisico dell'uomo/donna e la sua capacità riproduttiva, bensì è il fattore umano dei rapporti tra coniugi, che mi porta a riflettere. Consideriamo una coppia di persone normali, che rimane fedele alla sua metà da quando ha pronunciato positivamente alla domanda: "Vuoi tu"...ecc, quando si sono resi conto che era meglio terminare con le gioie del sesso? Chi per primo ha affisso il cartello "CHIUSO PER SEMPRE" sul proprio organo riproduttivo? Poi una volta stabilito che non c'è più trippa per gatti, a quale rimedio si ricorre per non perdere del tutto le altri funzioni dei genitali? Facendo una rapida statistica, credo personalmente, che siano per prime le donne a porre fine agli obblighi espletati durante tutta la vita con il marito. Perché si sa, le donne ad un certo punto, non sentono più la necessità fisica del rapporto sessuale, vuoi la menopuasa o perché sono più mature e profonde. Magari la continua richiesta da parte di un partner vetusto, ma ancora arzillo sul quel fronte, le facciano sorgere un naturale rifiuto fisiologico alla pratica in sé, è comprensibile. Ma l'elemento su quale posso dire con certezza che all'uomo la voglia non si affievolisce mai, si basa sulla visione di maschi attempati dentro le loro auto, che si accostano di notte lungo i marciapiedi della città. E' innegabile che da sempre il maschio, sia un avventore abituale di prostitute, soprattutto quando vede negare le possibilità di conquista di una donna col passare degli anni. Detto questo, la mia domanda resta irrisolta. Se vedo me stesso tra 30 anni ne avrò 62, un'età che al giorno d'oggi compete benissimo con i cinquantenni e forse anche meno, quindi ancora abile a svolgere le effusioni romantiche in totale armonia, mi auguro. Come dovrò gestire la voglia di carnalità? Se fra 30 anni mia moglie mi dirà, "Ok io il mio dovere l'ho fatto per tutto questo tempo, ora non ne ho più voglia, ma guai a te se guardi un'altra!" Cosa faccio in quel caso? Forse sto sviando, non volevo incappare in questa dinamica. Mi premeva fare una riflessione sulla continuazione dei rapporti tra due adulti, dopo una vita trascorsa insieme. Diventerà grigia come il colore dei capelli a cui saremo destinati portare sulla testa? O forse ci delizieranno altre cose, come la stretta di mano quando si passeggia, un bacio sulla guancia a mo' di saluto, l'accorgersi che nonostante tutto si sta ancora insieme dopo tanti anni? Immagino di si. Se poi alla fine, dopo aver preso coscienza che la via del tramonto si avvicina, ma abbiamo ancora in serbo delle cartucce da sparare, resta sempre il viagra.

martedì 19 novembre 2013

UN TRANQUILLO WEEK-END ETILICO

In occasione delle mie nozze di legno (i 5 anni per chi non lo sapesse) l'intera famigliola si è recata giù al solito mare, per festeggiare l'avvenimento. Nello specifico né io né mia moglie, abbiamo fatto nulla di estremamente romantico per poter ricordare il momento del nostro "SI", davanti al sindaco o vice che fosse, abbiamo preferito partire per il mare, così anche i bimbi si sarebbero divertiti con noi. Il viaggio di andata da Milano è stato abbastanza impegnativo. Prima di tutto, il traffico milanese ci ha rallentato di almeno due ore dalla destinazione. Poi la pioggia battente ci ha tenuto compagnia per tutto il viaggio, senza mai cessare un secondo. Arrivando sulle vette delle Alpi apuane, anche un bel banco di nebbia ha voluto presenziare con tutto il suo candore. Entrati finalmente a casa, ovviamente i caloriferi erano spenti. Ci è voluto un po' prima che si scaldasse e tutto funzionasse a pieno regime, ma dopo tutto ci siamo riscaldati con quel che avevamo, senza patire troppo il freddo. Così siamo arrivati all'indomani. Ci hanno svegliato dei luminosi e caldi raggi di sole, facendoci dimenticare della giornata precedente e riempiendoci l'animo di allegria e buon umore. Per rendere giustizia alle nostre fatiche, come potevamo non recarci sulla spiaggia e giocare con la sabbia, i sassi e legnetti? Infatti abbiamo passato lì la prima  mezz'ora della mattina. Ad unirsi a noi nei nostri giochi mattutini, sono stati i i cuginetti dei miei figli con gli zii al seguito, tutto come da copione. Saluti, giochi, risate, e finalmente l'aperitivo. Alle 11.30, minuto più minuto meno, il mio esofago ha accolto molto volentieri uno spritz fresco fresco, accompagnato dagli immancabili salatini. Alla domanda che è sorta inevitabile, "Dove andiamo a mangiare per pranzo?" Il mio sguardo si è rivolto verso l'orizzonte, puntando gli occhi sulla tavola blu del mare, sovrastato da un sole quasi primaverile, per prendere l'ispirazione e rispondere, "Non importa dove o casa mangeremo, quello che conta è bere." Mai parole vennero pronunciate con l'intento di essere soddisfatte a pieno. Abbiamo pranzato al ristorante brasiliano, tutto molto buono e stuzzicante. Ogni pietanza che ho ingurgitato con gran soddisfazione, l'ho annaffiata con due cocktail cachaca  per iniziare, da due bottiglie di vino durante il pranzo e da un grappa morbida e due cachaca lisce alla fine. L'allegra combriccola dopo il pranzo si è spostata a casa dei cuginetti, evitando di omettere anche solo un minuto di divertimento bambinesco, dai giochi effettuati insieme. Mio cognato ed io, appena giunti al bar di casa sua, ci siamo fermati per rinfrescarci la gola con un sbagliato. Saliti in casa chiacchierando del più e del meno, sono partite un paio di birre e una bottiglia di vino. L'ora della cena si avvicinava inesorabilmente, ma per riuscire a sfamare tutta la truppa, servivano alcune cose che in casa mancavano. Per cui l'infallibile duo, si è precipitato a comprare ciò che serviva a placare gli stomaci dei più piccoli. Prima però ci siamo fermati allo stesso bar, per abbeverarci di grappa. Siamo andati a comprare del vino dopo, e la pizza poi. A tavola con la cena servita, è evaporata un bottiglia di vino e altre due birre, senza che nemmeno me ne accorgessi. Intanto la serata era divenuta decisamente ridanciana, ma l'alcol ha fatto fatica a stopparsi. Da dopo la cena i ricordi si fanno offuscati e poco chiari. Mi ricordo di non aver mai steso le braccia, perché tenevo sempre in mano un bicchiere di qualcosa. Per fortuna i miei figli si sono fermati a dormire con le cugine, perché il rientro a casa nostra, è avvenuto per miracolo. Ho toccato il letto, svestito nemmeno so io come, sotto le coperte ho perso i sensi. La mattina seguente, tutto l'alcol etilico, batteva sulla mia testa goccia dopo goccia, come la tortura cinese. Era da tempo immemore che non mi sbronzavo sonoramente. Il fuoco nello stomaco, la testa in preda a vortici irrefrenabili ed il malore sparso per l'intero corpo, confermavano di aver soddisfatto la volontà di bere, come da annuncio effettuato il giorno prima in riva al mare. Il pranzo della domenica prima del ritorno a Milano, ho fatto il bravo. Visto che stavo per imbattermi in un lungo viaggio, avevo la necessità di restare più che lucido per non incorrere in sciagure stradali. Anche se il piccolo elfo, nano o chissà cosa, dell'etichetta della choufe, birra belga assai deliziosa, ha voluto a tutti i costi farmi visita con l'intera bottiglia. Per fortuna è andato tutto per il meglio senza guai. Il mio fisico ha retto a questo week-end alcolico, dimostrandomi che ancora per un po' di tempo, prima del decadimento fisico, posso bere duro. Ovvio che tutto deve essere compiuto con saggezza, non farei mai correre dei rischi a nessuno. Vale il detto "NON GUIDARE TROPPO CHE DEVI BERE." Così ho sempre fatto ed è così che continuerò a fare.

venerdì 15 novembre 2013

20 EUROS FOR LOVE

"Quando si dice: la combinazione basso e batteria suona alla grande. Come sempre accade, nelle retrovie di una band la sezione ritmica si coordina sul groove, si ragiona sui tempi, forma frammento su frammento l'ossatura di una canzone. Quando la sintonia tra i due strumenti è così alta da fare a meno degli altri componenti, allora è qui che emergono i 20 euros for love. Ancora meno di un power trio, un minimal duo asciutto e accattivante. L'innovazione dei pezzi fuoriusciti, solo dal basso e dalla batteria è disarmante. Loro partono dalla semplicità nuda e cruda di solo ritmo, per poi armonizzare il suono con piccoli virtuosismi, accenni, lontani echi armonici. Nulla di scontato, o brani vuoti per la mancanza di strumenti primeggianti, come chitarre, pianoforti né tanto meno da voci corali. Quello che si ascolta è la base diventata canzone, differenziata da tutte le varie forme di ritmo, includendo ogni genere possibile, che spazia dal post-punk, prog e stoner aggiungendoci un pizzico di punk rock. I 20 euros sono indecifrabili per un genere solo, loro li abbracciano molti in soli 3 minuti di esecuzione. L'eclettismo sul quale si giostrano tra le note, rende orecchiabile tutto ciò che era difficile da credere possibile e suonabile con soli due strumenti. G.P. e D.V. sono i membri del duo che mancava nel panorama sonoro italiano, la novità essenziale in un mondo fatto di suoni sempre più elettronici e sofisticati, ma poco istintivi. Il ritmo è stata la prima forma di musica degli esseri umani e qui siamo portati a credere che l'inizio ancestrale dell'umanità, abbia ripreso a chiamare sotto una nuova identità. Cerca di fare luce su ciò che è stato sorpassato dall'evoluzione musicale tralasciando, a torto, il cuore pulsante della sinfonia stessa. La storia personale da cui provengono i due membri del mini gruppo è dissociata l'uno dall'altra. Ognuno di loro ha un vissuto diverso alle spalle, con esperienze opposte seppur abbia per sottofondo un minimo comun denominatore ad unire i gusti musicali. Radici magari comuni, ma sviluppate in corsi di vita paralleli che hanno dato l'occasione di maturare quello che eseguono con i rispettivi strumenti. Riportano fedelmente i propri gusti e li uniscono tra loro. Questo è il suono dei 20 euros for love, la mistura di semplicità, innovazione e gusto raffinato di riprodurre ciò che loro amano fare. E' impossibile non venire rapiti dall'atmosfera che sanno riprodurre solo ritmicamente, ma a loro dire, non hanno bisogno di nulla di più. Sarà questa la nuova era di un genere non ancora inventato? O sarà la rinascita di un passato nascosto, che nel presente è pronto ad accogliere la prima nota come il primo pasto della vita, che condurrà l'ascoltatore in un futuro fatto solo di certezze? Lo scopriremo solo vivendo."
Sarebbe bello leggere un giorno, su Rolling Stone (ne dico uno a caso), la recensione del progetto che porto avanti con l'amico e collega G.P..Com'è bello sognar...

martedì 12 novembre 2013

OMAE WA MO SHINDEIRU

Come tutti quelli nati all'inizio degli anni '80, buona parte dell'infanzia l'ho trascorsa davanti la TV a guardare anime giapponesi. Forse sarà anche un po' triste e riduttivo, ma quando mandavano in onda i miei cartoni preferiti ero al settimo cielo. Credo di averli visti quasi tutti, da Carletto il principe dei mostri a Capitan Harlock, passando per Ransie la strega, Doraemon, Holly&Bengi, Devilman, Yattaman, Muteking, fino L'Uomo Tigre e tutti i vari Robot nessuno escluso. I cartoni di quei tempi erano molto differenti da quelli di oggi, avevano delle tematiche non proprio adatte ai bambini, vuoi per l'alta violenza o per uno sentimentalismo velato da una nota maliziosa, difficile da interpretare per un bambino. Eppure i palinsesti nazionali, non si curavano affatto dei danni che potevano procurare alle menti innocenti dei piccoli spettatori, i genitori tanto meno e quindi perché farcene noi? Ora io da genitore quale sono, supervisiono ogni fotogramma che andranno a vedere i miei figli (dato che però ho tolto la TV in casa mi sono sollevato da questo enorme onere dal principio.) Tra tutti i cartoni che ho visto durante l'infanzia e adolescenza, il mio preferito in assoluto è stato Ken il Guerriero. Ho fatto letteralmente una malattia per questo anime. Ogni sera mi precipitavo con il mio piatto della cena davanti la TV e mangiavo guardando le gesta del mio super eroe dai pugni esplosivi. Ero talmente invasato da questo cartone, che quando giocavo con i miei personaggi, riproducevo la stessa trama delle puntate con i miei giocattoli. Al personaggino che usavo come Ken, gli avevo fatto le sette stelle sul petto, bucandolo con l'ago rovente, per renderlo più verosimile possibile a lui. Segnavo sul mio diario tutti i nomi dei personaggi principali nonché comparse visti in tutti gli episodi. Ogni volta che mi trovavo di sera a guardare il cielo stellato, cercavo il grande carro dell'orsa maggiore in veglia su di me proprio come Kenshiro. Ho comprato anche tutti i numeri dei manga relativi alle due serie apparse in TV cercando le differenze e le scene tagliate e il vero finale. Ero così fortemente preso da questo cartone che mio fratello mi chiamava Hokuten. Mai nessun altro anime mi rapì come questo, ho rivisto le serie complete ogni qualvolta venivano trasmesse da emittenti semi-anonime o completamente sconosciute. Ho anche comprato diversi dvd da adulto, per avere sempre a portata di mano il supporto sul quale poter riversare i miei ricordi e anche l'attenzione alle sfumature del cartone, che potrei non aver recepito da piccolo. Insomma una passione che non smette mai di attrarmi con la forza delle sette stelle di Hokuto. Quando andai i Giappone, gioivo di nascosto dagli occhi della mia ex nipponica, quando mi imbattevo in qualcosa inerente al grande Ken.
Adesso, con il cervello di una persona matura, è chiaro che non lo farei vedere mai ai miei figli, potrebbero rimanerne shockati. Ma appena saranno grandi abbastanza per poterlo comprendere per quello che è, cioè un cartone animato creato da due persone con una fervida immaginazione (Testuo Hara e Buronson per la cronaca), senza nulla a che vedere con la realtà, non vedo l'ora di rivederlo insieme. Se poi apprenderanno l'arte segreta della tecnica di kempo della sacra scuola di Hokuto, posso ritenermi OMAE WO SHINDEIRU, cioè già morto.

sabato 9 novembre 2013

BASTA UN POCO DI ZUCCHERO E IL PESO VA SU

Ad aprile scorso, stufo di essere in sovrappeso, ho cominciato una dieta abbastanza impegnativa. Di per sé la cosa non mi ha spaventato molto perché ero decisamente motivato e convinto di poterci riuscire. Anche il terrore di rimanere a pane e acqua, è stato superato da una dieta ben equilibrata stilata da un dietologo competente. Infatti dopo 4 mesi ho perso 10 kg senza nemmeno accorgermene. Eppure la cosa non è passata inosservata a chi mi stava vicino, anzi hanno continuato a ripetermi quanto fossi dimagrito, ed è chiaro che pur essendomi sgonfiato di peso, mi sono gonfiato di orgoglio. Per rassodare il corpo in fase di calo di peso mi sono iscritto alla Virgin, come scritto qualche post fa. Ok ora comincia il bello. La dieta ha funzionato bene proprio perché mi sono attenuto scrupolosamente a tutti quei cibi che è meglio evitare per non cadere nella trappola dell'obesità, il problema sta nel mantenere costante l'educazione culinaria. Ringalluzzito dalla mia shiloutte nuova di pacca, spesso cedo a qualche peccato di gola, come birra, vino e dolci, le tre grazie della tavola, pensando che non possa scalfire in nessun modo il mio peso raggiunto. A dire la verità per arrivare al mio peso forma dovrei perderne altri 6 kg, ma come ho appena scritto sta diventando piuttosto difficile mantenere fede ai buoni propositi. Lo credo impossibile restare costante nell'osservazione precisa della dieta per tutto il tempo che serve (tutta la vita a questo punto) a farmi rientrare nel peso forma di quando ero adolescente, potrei fermarmi qui, ma il mio dietologo non è dello stesso parere. Quindi quando arrivo al giorno del controllo mi metto a stecchetto, giusto per dare l'idea di seguire ancora le bibliche tavole della dieta, sperando che gli sforzi dell'ultim'ora servano a qualcosa. A volte penso, com'era bello mangiare senza cura della propria salute, tipo alla Homer Simpson. Invece ci dobbiamo attenere ad un cibo salutare, senza eccedere mai troppo nel gusto e nel vizio. Fare sport fino a diventare un professionista, tenere lontano la gente che mangia, per evitare di ingrassare anche solo con lo sguardo. Per farla breve la dieta è una bella rogna, ma se belli si vuole apparire un po' bisogna soffrire.
"Capo, me fai un panino? Mettici dentro il prosciutto, la lonza quello che te pare basta che te sbrighi..."
  - C.Verdone in Grand Hotel Excelsior -

mercoledì 6 novembre 2013

LA MOKA NON E' AMICA DELL'AMACA.

Il caffè è una bevanda che fino a poco tempo fa non suscitava alcun interesse in me, ora non ne posso fare a meno. Sarà perché per due notti a settimana sono a lavoro in veglia completa. Forse proprio per il sonno ridotto, quando apro gli occhi necessito di caffeina per riprendere le nozioni basilari su come sono arrivato sulla Terra. Magari le mie origini partenopee si fanno sentire con 'na tazzulell'e cafè, più di quanto non credessi possibile, fatto sta che di caffeina ne introduco parecchia e la cosa mi sconcerta alquanto. Non sono un intenditore, nel senso che non riesco a riconoscere le miscele di robusta o arabica di una determinata marca, anzi per me sono tutti uguali alla fine. Però riesco a capire quando è buono e quando è una ciofeca. La macchinetta dove lavoro io, inutile dirlo, eroga una specie di acqua putrida color marrone vagamente somigliante ad un succo di chicco di caffè, imbevibile ma necessario. La moka di casa mia, invece produce una bevanda degna del nome di cui è atta ed eseguire la sua funzione, ovvero il caffè è buono. L'unico problema è che una moka da quattro tazzine e per non sprecare il suo contenuto, ne bevo da solo almeno i 2/3. Decisamente troppi. C'è da dire una cosa, io non sono uno di quei tipi che disdegna il caffè all'americana, anzi in verità lo preferisco. Appena sveglio, se non bevo la mia tazza mattutina di quello solubile, non ho la forza di aprire le palpebre e il mio cervello si aziona intorno alle due del pomeriggio. Poi mi piace anche mangiare cibi salati sorseggiando un bel litro di americano, fa come dire molto...americano appunto, dà una certa soddisfazione perché non si finisce in due sorsi, come l'espresso nostrano. Rende il momento del caffè come una pausa prolungata di relax e tranquillità. E' piacevole, duraturo e non ci si cuoce la lingua buttandolo come piombo fuso giù per la gola. Comunque dopo tanto parlare, mi è venuta voglia di bere un caffè, e se non lo prendo divento pure nervoso, dannazione!

martedì 5 novembre 2013

IL MIO IPOD E' UN FAN DEI PINK FLOYD

Diversi anni fa, quando ancora non c'erano i tablet o gli smarphone, il massimo dell'avanguardia dei dispositivi tecnologici, lo si riscontrava comprando un ipod. Ad essere onesto è stato l'unico device che veramente volevo e per l'appunto lo comprai. Il primo utilizzo è stato un po' ritardato rispetto al momento dell'acquisto, cioè che le vere possibilità dello strumento, le ho scoperte solo quando ho scaricato itunes e tutte le canzoni sui vari siti peer to peer. Quando poi, ho trovato il motore giusto per scaricare la musica che mi interessava, ho davvero tirato giù il mondo. C'è da dire che ho scaricato anche tutti gli album che avevo già comprato in formato cd, quindi mi sono messo a posto anche con la coscienza. Detto questo, tra i tanti artisti e band che ho all'interno dell'ipod, ho anche infilato purtroppo tutta la discografia dei Pink Floyd. Un momento, io riconosco perfettamente tutta la loro grandezza, il genio creativo e le doti di immensi musicisti, però non li reggo. Ho voluto fare l'intellettuale musicale e perciò ho avuto la brillante idea di scaricare tutto quello che hanno prodotto durante la loro carriera. Nulla di più sbagliato. Io personalmente conoscevo solo le più famose (cioè le più belle) e mi sarei dovuto limitare a quelle. Invece no, ho voluto fare l'intenditore, il musicologo, per poter così riconoscere alla prima nota la band inglese e alla fine è esattamente così che avviene, solo che nel momento in cui riconosco una loro canzone, passo avanti. Onestamente, credo di avere anche i rutti che hanno registrato per sbaglio, quando nemmeno volevano produrre qualcosa di grandioso, ed è qui che entra in gioco il mio ipod. Ogni due o tre canzoni di altri artisti, mi rifila sempre qualcosa dei Pink Floyd, credetemi non ne posso più. Il fatto è che sono un gruppo impegnativo a livello sonoro, troppo psichedelico, molto malato, richiede un tipo di attenzione che non ho voglia di metterci quando ascolto la musica. Lo si apprezza secondo me, sotto effetti di stupefacenti pesanti, non da sobri. Eppure quel dannato apparecchietto proveniente da Cupertino, mi fa i dispetti. Devo supporre che sia un vero fan della band, sapendo che è stato progettato nella zona più freakettona degli Stati Uniti, è più che giustificabile, ma io no! Potrei toglierli dalla playlist, ma devo farlo con il mio vecchio pc, se non voglio perdere le mie 12416 canzoni, che ancora sono riuscito ad ascoltarle tutte, proprio perché il mio ipod vuole ascoltare solo i Pink Floyd!


domenica 3 novembre 2013

QUANDO LA SFIGA SI AGGIRA SU DUE RUOTE -4

Ieri fine del turno di lavoro, ore mezzanotte e dintorni scendo dall'ufficio per prendere la bici. Appena fuori mi accorgo che piove. Da come era partita la giornata, non mi aspettavo piovesse, ragion per cui non avevo portato niente per ripararmi. Inevitabilmente mi bagno. Con la mia sciagurata bici, cerco di andare veloce per non arrivare tardi e soprattutto infradiciato dalla testa ai piedi come spesso capita purtroppo. Arrivo sulla cima del ponte della Ghisolfa, con le auto che sfrecciano perché è sabato sera e dunque si corre per forza. Le lenti puntellate dalla pioggia non mi permettono di vedere l'unico mucchio di vetri rotti lasciato non curante sul ciglio della strada, ovviamente buco la ruota posteriore. Il sibilo e le bollicine che fuoriescono dal foro non lasciano nessuna speranza, dopo quattro secondi esatti, ho la ruota a terra. Impreco in tutte le lingue, cerco di pedalare comunque, ma è una sfida impari, ad ogni metro che percorro ho il terrore che la bici si sgretoli sotto di me. Scendo e la spingo per qualche chilometro. Esausto di portare la bici sotto braccio, pedalo lo stesso, smadonnando tutti i santi e per ripicca, questi, mi fanno mordere la lingua. Sento il saporaccio del sangue in bocca che sputo su ogni centimetro di strada, come pollicino durante il tragitto, segno il mio doloroso percorso con il male sulla lingua ed il sangue sull'asfalto. La domanda penso a questo punto sorga spontanea. Ma perché mi ostino a prendere la bici per andare in giro? La risposta è semplice. Con la sfiga sempre in agguato su i miei spostamenti, se con la stessa efficacia si accanisse anche con l'auto sarei finito. Meglio limitare i danni, tutt'al più buco le ruote. (Anche se poi sputo sangue per far ritorno a casa.)

venerdì 1 novembre 2013

VIR-GYM

Lo devo ammettere, mi piace essere considerato uno sportivo, anche perché di fatto lo sono. Da piccolo ho seguito il classico corso di nuoto per diversi anni. Crescendo ho fatto poi un po' di rugby, boxe, body building e posso essere orgoglioso di dire che ho quasi abbandonato l'auto per la bicicletta. Per dare continuità ai miei sforzi fisici, da non molto, mi sono iscritto alla Virgin. La palestra è molto grande, fornita delle apparecchiature più all'avanguardia, nell'ambito della tecnologia sportiva. Sono presenti diverse sale per tutte quelle attività aerobiche che necessitano di molto spazio per svolgerle in modo corretto. C'è anche la piscina olimpionica, dove oltre al nuoto libero, si fanno corsi inerenti all'acqua e per finire la super spa (un piccolo lusso per noi soci). Non sto facendo la promozione alla palestra, anche perché di magagne ne hanno alle spalle, quello che mi diverte sono i frequentatori del luogo, su cui spenderei volentieri delle riflessioni a riguardo. Da premettere, che negli anni di palestre ne ho girate un po' ed è incredibile quanto sia simile la tipologia di persone che la frequentano, pur essendo queste molte lontane tra loro, si certo intendo anche di altre città. Prendo in esame quelli più evidenti tra gli uomini, cioè i così detti: palestrati. Questi energumeni, a differenza di quanto la loro massa muscolare sia imponente, la maggior parte delle volte sono persone abbastanza pacate, non esternano a chiunque la loro forza. Se proprio devono, lo fanno con qualcuno simile a loro o che sono intenzionati a diventarlo. Sorprende vedere quanto siano altruisti con chi li segue, come siano prodighi di consigli e di supporto negli esercizi. Viene quasi da pensare che la passione per il culto del corpo, si estenda anche su quello degli altri. Chiaramente ci sono i loro seguaci, magari non sono così tenici come i palestrati, ma godono della bellezza solo del loro corpo quasi perfetto. Li chiamerei i montati. Questi personaggi arrivano in palestra con delle tenute alla moda, quella però un po' da duro e ribelle alla Uomini&Donne per intenderci, con le canottiere larghe per far intravvedere i muscoli e i tatuaggi, cappellino da baseball o cappuccio con felpa smanicata, occhiali da sole e pantaloni larghi della tuta o il alternativa, bermuda da basket. La maggior parte del tempo stanno a specchiarsi o fanno relazioni pubbliche assidue. Tra le fila dei macchinari e dei bilancieri, fanno capolino anche i fantasmi, ovvero gli uomini senza un filo di muscoli, che si ammazzano per vedere spuntare anche solo un ematoma sul braccio e che per quanto lavorino, non arriveranno mai ad essere come i montanti. Non dimentichiamo i pensionati. Quelli sono i più volenterosi e partecipi. Non si fa fatica a vederli insieme ai palestrati, decantando come menestrelli, le vitrù dei loro guerrieri, ammirandoli. In fine c'è la gente come me, che non parla con nessuno, lavora sodo, ma si stufa molto in fretta. Anche le donne sono soggette ad uno studio accurato. La versione femminile dei montati Uomini&Donne non differisce da quella maschile, arrivano, si specchiano, si mostrano anche un po' infastidite da quelli che le guardano, si detergono quelle quattro gocce di sudore e se ne vanno. Le palestrate donne effettivamente mancano, anche se qualcuna di tosta c'è che lavora bene. Per quel che riguarda le pensionate si spaccano in due gruppi. 1 Le pensionate che fanno fatica a fare qualsiasi cosa, tanto da venir voglia di aiutarle. 2 Le pensionate che si tengono in forma come delle ragazzine, da dare del filo da torcere alle bellone della De Filippi. A volte rasentano la pateticità, sembra che vogliano aggrapparsi ad un età che non gli appartiene più, ma considerando che fanno bene a mantenersi in forma, si può chiudere un occhio per il fine ultimo. Le anonime ci sono proprio come quelli dei maschi, il gruppo a cui appartengo io se vogliamo. Mi sembra che a differenziarci sia il loro piglio, cioè infastidito a prescindere. So perfettamente il motivo e do ragione a spada tratta. Nel senso che una donna appena mette piedi in palestra, si sente tutti gli occhi addosso, che lo voglia o meno, che sia particolarmente attraente o più normale, per non del tutto bella, quindi per evitare di dover parlare con qualcuno che faccia il cascamorto, non dà confidenza a nessuno. In tanti anni che frequento le palestre, ho sempre visto i personaggi di cui sopra. Sarà che oltre ai muscoli ho allenato anche l'occhio, ma uno solo però l'altro lo lascio miope.

COME UN ANNO FA

 L'anno scorso siamo rimasti rinchiusi per mesi a causa di un virus letale, sconosciuto e altamente aggressivo, dopo un anno siamo ancor...