venerdì 29 aprile 2016

LA DONNA DEI MIEI INCUBI

E' da tre anni a questa parte che ogni giorno incontro una donna, molto socievole, affabile e dai modi così gentili che quasi non la sopporto più. Al tempo! E necessaria una spiegazione.
E' sì molto carina nei modi e cortese nel porsi alla gente, però lo fa subdolamente per arrivare dove vuole lei, ovvero, con certo velato interesse e questa è una cosa che davvero non sopporto.
Costei è un tipo di donna che non si sbilancia mai, è sempre troppo accondiscendente e non prende mai una posizione vera, cioè si espone solo per accodarsi al gruppo e non va mai contro corrente. Porta avanti della battaglie senza senso ma non si fa porta voce ufficiale delle sue idee, cioè, fomenta le folle e nel momento opportuno si nasconde dietro agli altri. Lei pensa solo al suo piccolo nucleo e per questo manovra tutti coloro che le stanno intorno per proteggere al meglio i suoi cari, anche se dall'esterno potrebbe sembrare di immolarsi per la causa.
Per quel che la conosco, ha adottato un metodo educativo secondo me inefficace con i suoi figli, a mio avviso, non li permette di crescere adeguatamente e non dà loro la possibilità di responsabilizzarsi; li ha come condannati a non progredire verso la maturità e con la sua eccessiva apprensione, soffoca la curiosità che è l'essenza della fanciullezza.
Non mi sento superiore a lei come a nessun altro nell'educazione dei figli, ognuno li cresce come meglio crede; per carità! Però ciò che le contesto è questo modo di fare ultra protettivo seppure non apertamente esplicito, cioè, non si impunta nemmeno in questo ambito. Cerca sempre di rigirare la situazione a suo vantaggio con dei mezzucci un po' meschini ed incoerenti con ciò che dice davanti a tutti con quello che poi fa veramente. Se devo dirla tutta, credo sia una persona non del tutto sincera.
Mi spiace descriverla in questa maniera e lo dico davvero, a me personalmente non ha mai fatto un torto che sia uno, però è una persona della quale mi fido poco e comincia a piacermi sempre di meno.
Il giorno che la conobbi, si presentò subito in modo molto discreto e persino disponibile, a dire il vero, la trovai fin troppo compiacente, ovviamente, non in senso malizioso, ma come se si dovesse mettere al primo posto delle mie amicizie ed è per questo che non mi ha mai convinto fino in fondo.
Ha cercato in tutti i modi di piacermi (ripeto non in senso malizioso) ma come se avessi potuto contare su di lei per ogni evenienza. Non nego che sia stata utile in alcune circostanze, ma questa voglia di primeggiare con chiunque mi ha dato molto da pensare.
Sono del parere che non si possa piacere a tutti, ognuno ha le proprie simpatie e antipatie, perciò in base a questa semplice regola, ci si comporta di conseguenza. Forse è la cosa che meno riesco a mandare giù di lei sta in questo, ossia, che abbia la presunzione di considerarsi piacevole ed indispensabile.
Sono maligno me ne rendo conto, forse questa donna soffre solo di un grande senso di insicurezza e per colmarlo sente la necessità di imporsi come cardine fondamentale della comunità. Eppure questo modo di fare lo trovo estremamente falso.
Non ho una grande confidenza, o meglio, ho anche cercato di instaurare un rapporto fondato sulla simpatia reciproca, facendo cadere leggermente le convenzioni e i convenevoli, pensando di entrare un po' più in profondità, purtroppo però non ci riesco e penso che la cosa si noti.
E' un tipo di donna che davvero fa a pugni con i miei gusti, non ce la faccio a farmela piacere. Ok, non è che debba per forza essere la mia migliore amica, ma ultimamente mi pesa persino essere cordiale con lei, la trovo irritante. Mi spiace, eppure, non posso negare l'evidenza.
Pazienza, come dicevo prima, non si può piacere a tutti.



sabato 16 aprile 2016

IL MESTIERE DEL MAESTRO

L'insegnamento è una vera e propria dote, non si può insegnare a tutti ad essere un docente, un professore, un maestro o qualunque altra figura che implichi la trasmissione di un sapere ad un altro. C'è bisogno di quel fattore denominato come: vocazione, sennò è inutile cimentarsi qualora questa qualità non sia presente. Si può essere il migliore in assoluto nel proprio ambito, che sia questa l'istruzione, lo sport, la musica però non è consequenziale saper istruire coloro che vogliono apprendere; è vero forse il contrario, ossia, se si trova qualcuno che non sappia impartire delle lezioni, si rischia di far disinnamorare coloro che siano disposti ad imparare. Lo sto vivendo proprio sulla mia pelle.
Con il mio maestro di batteria non scorre buon sangue, a dire il vero, penso di essergli decisamente antipatico, nella stessa misura di quanto lui sta a me. Eppure appena sono entrato a far parte di quella scuola, mi era sembrato disponibile e comprensivo, poi con il passare dei mesi la situazione si è incrinata, sia perché ho poco tempo per svolgere le esercitazioni, sia perché lui non va al di là del suo smisurato ego. Penso che la colpa sia nel mezzo, ovvero, per quel che mi riguarda potrei trovare maggior tempo per studiare, lui dal canto suo, potrebbe scendere da quel piedistallo e provare a vivere come una persona comune.
Quando torno a casa il lunedì pomeriggio, spesso ho il morale sotto i tacchi a causa dei continui rimproveri del maestro. Certo, non sono un bambino per cui non dovrei farmi avvilire dal comportamento poco professionale del docente musicista, eppure, quel suo modo di fare non mi sprona a continuare, mi deprime e non mi permette di credere in me stesso. Fino a poco prima della mia iscrizione ero quasi convinto di essere portato per il mio strumento preferito e persino quando suono con la band, ho avuto la presunzione di considerami addirittura bravo, invece a quanto dice il maestro non è affatto così. Tempo fa gli ho mostrato il video del mio gruppo, mi ha detto che quello che faccio, non significa saper suonare. Io ci sono un po' rimasto male, non lo nego.
L'ultima volta ha esordito dicendo che una persona normale in un mese diventa professionista se dedica dieci ore al giorno a studiare. Quando la mia risposta è stata di non aver a disposizione tutto quel tempo (perché lavoro di notte, ho una famiglia e tutto il resto...) lui ha concluso sbraitando che non è affar suo e che non può pagare lui le conseguenze della mia vita. Sono rimasto senza parole.
Se le lezioni fossero un favore nei miei confronti potrei anche capire il suo comportamento, ma io ho sborsato una considerevole cifra per seguire le sue lezioni e nonostante tutto, mi propone di andare a studiare da un'altra parte, cioè, non è stato così esplicito sennò me ne sarei andato seduta stante, ma una volta mi ha detto che devo valutare l'idea di riscrivermi ancora a fine anno. Ovvio che non andrò più da lui, ma non voglio andarmene via prima per non dargli questa soddisfazione. Se per lui sono una perdita di tempo, allora gli farò perdere tempo, se per lui sarò un caso disastroso, allora si renderà conto che così facendo il disastro non può cambiare.
La mia intenzione era quella di imparare nuovi ritmi, di poter leggere uno spartito e di capire bene la musica e magari, dico magari, un giorno diventare anch'io a mia volta un maestro di batteria. Invece sono partito dal principio con una modalità che non sembra faccia al caso mio, di nuovi ritmi non ne ho imparati, gli spartiti li so leggere solo fino ad un certo punto e l'eventualità di diventare un maestro, non se ne parla nemmeno, anzi a suo dire, potrebbe diventare al massimo un hobby di lusso, altrimenti potrei darmi all'ippica tanto sarebbe uguale.
Quando ne parlo con mia moglie lei si infuria come una biscia, poiché conosce bene la tipologia di quel tipo di persone. Avendo fatto il conservatorio da piccola, la mia dolce metà sa benissimo di che pasta siano fatti gli inarrivabili maestri, sono presuntuosi, poco umili, egocentrici, credono che la vita ruoti intorno alla musica e tutto il resto non abbia valore, vivono su un altro pianeta e molto probabilmente sono pure straricchi. Dato che io non ho nessuna delle caratteristiche che contraddistinguono i docenti di musica posso anche evitare di diventare un maestro un giorno, ma se per qualche strano motivo ci riuscissi, di sicuro sarei un maestro migliore del mio, questo è poco ma sicuro.



mercoledì 13 aprile 2016

ERAVAMO RAGAZZI

Era il 26 giugno il giorno del mio compleanno per celebrare i 22 anni, o forse 23, non ricordo esattamente quello che accadde quel giorno perché, da quando il mio migliore amico mi disse: "Andiamo a festeggiare" ciò che ricordo sono sprazzi di avvenimenti accaduti un po' per caso.
L'occasione non poteva essere più favorevole, credo fosse un sabato e io non ero di turno al pub sui navigli, il mio amico chiuse Zabriskie verso le 12.00 e partimmo per una destinazione qualunque, l'unico obiettivo era lo sballo più totale.
La prima tappa fu Lignano Sabbiadoro, almeno credo, ho davvero un buco spazio-temporale che non mi permette di avere dei ricordi chiari. Comunque per giungere a destinazione, impiegammo il tempo necessario per arrivare completamente strafatti. Forse restammo lì, le ore giuste per fare il pieno d'alcol e vedere un po' la situazione. Giungemmo alla conclusione che quell'atmosfera non faceva per noi. Riprendemmo la macchina e ci dirigemmo verso la costa opposta, andammo in Liguria e più precisamente ad Alassio; sono sicuro di aver fatto baldoria nella cittadina ligure dei vip negli anni '80, ma non molto per quella precedente, cioè, mi ricordo di aver fatto un sacco di strada in auto e di essere finito in zone mai esplorate prima, eppure mi sfugge il luogo precedente; fatto sta, che appena arrivati andammo a bere come delle spugne nel budello, ossia, la via lunga e stretta che percorre tutto il centro della ridente città così pieno di pub e negozi di moda. Ovviamente ci recammo in un pub e da lì ci decidemmo che una serata in discoteca non poteva togliercela nessuno. Devo fare un inciso, sia io che il mio amico, siamo mai stati dei frequentatori di discoteche, per cui, per poter tollerare quel tipo di ambiente, ci siamo scolati l'impossibile e fumato qualsiasi cosa potesse essere bruciata. La serata lì dentro l'ho completamente rimossa, tanto quanto il nome del locale, ho dei vaghi flash che non sono sicuro di poter attribuire proprio a quella sera. Mi ricordo però che uscimmo per andare a bere ancora e pieni com'eravamo, facemmo un vero e show alla maniera nostra, nel senso che eravamo un'accoppiata ben riuscita in fatto di divertimento, e grazie a questo talento, conoscemmo un mucchio di persone che si unirono a noi per bere e per fumare.
Arrivati alle prime luci del mattino seguente, andammo sul lungo mare e addormentammo sulle panchine pieni di ogni sostanza lecita e non. Il caldo torrido della spiaggia ci svegliò insieme ai bambini che ci guardavano esterrefatti con le mamma che li tiravano a sé per paura di una nostra possibile reazione. Ci svegliammo in malo modo, andammo a fare colazione nel primo bar a disposizione e poi ci affittammo un ombrellone e due lettini per finire di riposare in maniera più decente.
Il tuffo che feci per riprendere i sensi, per poco non mi uccideva. Ero talmente poco reattivo che nemmeno l'acqua gelida seppe svegliarmi a dovere, per fortuna che l'acqua era bassa e riuscì a tornare a sdraiarmi. Il mio amico non fece neppure lo sforzo di tuffarsi, perse completamente i sensi sul lettino e piombò in un sonno letargico, così pesante che al risvegliò si ritrovo ustionato a chiazze sul corpo e con i segni della mano aperta sul viso, la parte restante si abbronzò con la forma delle cinque dita. Riprendemmo più o meno le forze e ci rifocillammo a suon di birre e panini, mentre il caldo ci stava letteralmente ardendo vivi. Restammo in ammollo per rinfrescarci ma non avendo messo alcun tipo di crema protettiva, l'effetto di ustione sulla pelle arrivò poco dopo essere usciti dall'acqua. Verso sera riprendemmo l'auto per far ritorno a Milano, sfatti da far paura, ustionati, rimbambiti dalla lunga notte e dal poco sonno e nonostante tutto, il tragitto in autostrada lo percorremmo fumando ganja a non finire.
Mi sono divertito davvero parecchio quel giorno, peccato che il più delle cose fatte non me le ricordo assolutamente, però ero giovane e stupido. Oggi a distanza di una dozzina di anni posso dire di essere stato fortunato a non rimetterci le penne a causa della mia incoscienza.
Spero che il modo di divertirsi dei miei figli in futuro sarà molto più sano del mio a quei tempi, perché ci ha assistiti solo la fortuna e basta, insomma ci è andata bene e sono qui che posso raccontarlo.
Eravamo ragazzi certo, ma pazzoidi fino a non rendersene nemmeno conto.
Beata gioventù.

martedì 12 aprile 2016

ABBATTUTO IL TRAGUARDO DEI 10.000

Il mio primo post risale al lontano 2009, ovvero, quando questo blog era per me un luogo di rifugio, di sfogo, un posto dove poter esprimere le mie idee e tutto quello che mi passava per la testa. Di anni ne sono passati, (ben sette a quanto pare) e da allora le cose sono cambiate parecchio, cioè: prima fra tutte sono ritornato a Milano; certo da sette anni, però l'incipt da blogger avvenne presso Marina di Carrara. Poi la scrittura sul blog ha avuto un periodo d'arresto significativo, per il quale non saprei spiegare bene il motivo ma la cronologia dei post più vecchi parla da sola. Posso dire di aver avuto una certa costanza nello scrivere dal 2013 a oggi, e nel frattempo mi sono trasferito ulteriormente, la mia famiglia è aumentata arrivando a tre figli e due gatti, ho ripreso a suonare assiduamente, ho pubblicato due libri, nei prossimi giorni uscirà l'album dei Twenty Euro For Love (la mia band) insomma ho messo un po' di carne al fuoco.
Scrivere per me è diventata una passione, un'abitudine e se non altro, un modo per crearmi un'alternativa ideologica per quel che concerne un "lavoro" futuro. Oddio, non so come si possa diventare dei blogger professionisti e campare di questo; d'accordo so benissimo come si fa, però, per quanto mi riguarda vedo la situazione piuttosto lontana.
Comunque sono riuscito a superare il traguardo dei 10.000 visitatori sul mio blog e non nego che mi faccia piacere, perciò ringrazio i lettori affecionados, quelli saltuari, quelli che si sono affacciati solo una volta su queste pagine e tutti coloro che hanno contribuito ad arrivare a questo punto. Forse diecimila visualizzazioni non saranno molte se paragonate alle star del nuovo millennio, ma è pur sempre qualcosa.
Vorrei solo fare una gentile richiesta se mi è concessa, invito chiunque a lasciare dei commenti o almeno una traccia del suo passaggio, da questo si può sviluppare un certo discorso e perché no, un lavoro alternativo!
10.000 Grazie a tutti.


lunedì 11 aprile 2016

IL TELEFONO DI UNA VOLTA, ERA LA TUA VOCE

Quando non esistevano i telefoni cellulari la vita era più semplice, non si avvertiva il bisogno di comunicare con chicchessia a qualsiasi ora del giorno e della notte. Se squillava il telefono fisso di casa, il più delle volte avveniva per una comunicazione urgente, eventualmente se chiamava una persona che non si sentiva da tempo, voleva dire che per davvero non lo si sentiva da un bel po'. Le comunicazioni poi erano abbastanza brevi, specialmente qualora si chiamasse dal telefono pubblico con il gettone, poi con le monete e in fine con le tessere telefoniche poiché un tempo parlare costava parecchio, per questo si cerva di tenere le bollette il più basso possibile con il telefono fisso e spendere poco dalle cabine.
Nonostante tutto però, c'erano dei pionieri della bolletta salata e molti di questi erano miei amici. Sapevo di persone che ricevevano dei conti stratosferici del tipo che superavano il milione di lire e non ho mai potuto concepire una cosa del genere come una realtà. Avevo un amico che chiamava da fuori Milano, anzi, addirittura da un'altra provincia e per questo effettuava ogni volta delle interurbane, che tradotto con il linguaggio di oggi vuol dire: essere spellati vivi dalla Telecom. (allora si chiamava Sip)
Ma spesso mi chiamavano anche delle amiche con le quali restavo delle ore al telefono. Mi ricordo di una ragazza con la quale ebbi dei trascorsi amorosi, che ogni sera mi chiamava alla stessa ora e parlava, parlava e parlava, senza smettere mai. Io che all'epoca avevo il telefono con la ghiera attaccato al muro, rimanevo in piedi come un...palo del telefono. I miei genitori, dopo che il tempo trascorso alla cornetta arrivava ai record nazionali, mi facevano segno di tagliare, pur non avendo effettuato personalmente la chiamata. Poi quando riagganciavo, mio padre mi faceva sempre la stessa domanda:
"Ma 'sta ragazza, quanto paga di telefono?"
Lei era una di quelle che sfiorava o superava il milione.
Ho ricevuto telefonate anche da ragazze che personalmente non conoscevo, o per lo meno, alle quali non avevo dato il mio numero di casa in maniera diretta, però c'erano le rubriche telefoniche e bastava poco per ricevere una chiamata da sconosciuti. In questi casi chi apriva le danze era l'amica di colei che aveva degli interessi a me indirizzati e nel mio piccolo, ne ho ricevute abbastanza da poter ricordare queste chiamate con un sorriso quasi malinconico. ma solo per la modalità con la quale avvenivano certe dinamiche.
Anch'io ogni tanto chiamavo delle ragazze e ogni volta avevo il cuore in gola, perché non si poteva sapere chi delle persone presenti in quella casa andasse a rispondere. C'era sempre un po' di timore in queste occasioni e non mancava il riaggancio immediato nel momento in cui si sentiva una voce da adulto. Io ho sempre avuto un pessimo rapporto con il telefono per cui i miei tentativi erano brevi e sporadici, poi con l'angoscia della bolletta alta mi limitavo allo stretto necessario e chiamavo solo qualora casa mia fosse libera da orecchie indiscrete.
E' stata anche l'epoca degli scherzi telefonici, e chi non li ha fatti in passato? Io li facevo con una mia cugina di nascosto; bastava sparare dei numeri a caso (senza il prefisso perché sennò guai) e il gioco era fatto. Si potevano fare pernacchie, illudere qualcuno con la vincita di premi esorbitanti, arrivare a comunicare la morte di un parente o spacciarsi per un parente, tanto non si poteva venire scoperti, a meno che non si chiamasse qualcuno con degli apparecchi all'avanguardia che possedevano "l'indovino".
Qualche mese fa ho comprato dopo un sacco di tempo il telefono di casa . I miei figli hanno fatto fatica a capire che ruolo avesse quell'aggeggio, che non era un cellulare anche se poteva sembrare, dentro le nostre quattro mura, pur avendo già due telefonini. Francamente anche a me è sembrato superfluo, però mia moglie si sente più sicura ad averlo e poi l'abbiamo compreso con la bolletta di Fastweb. Allora noi gli abbiamo raccontato che una volta nelle case della gente c'era sempre un telefono fisso dove poter far recapitare delle comunicazioni a qualche componente della famiglia a cui si voleva indirizzare una chiamata. Le conversazioni erano del tipo:
"Pronto casa... mi potrebbe passare...?" oppure "Pronto qui casa... chi parla?
I tempi sono cambiati rapidamente, soprattutto per quel che riguarda le telecomunicazioni, io poi che ci lavoro in questo campo so di cosa si tratta. Oggi si parla di continuo con il cellulare, con le webcam, attraverso i messaggi di whatsapp, con le mail e secondo me, fra qualche anno non ci sarà più bisogno degli smartphone (per dire cose il più delle volte inutili), non ho idea di cosa si possano inventare ma la novità rivoluzionaria è qui dietro l'angolo.
Siamo diventati così abili a maneggiare certi strumenti che persino i bambini trovano facile replicare i gesti degli adulti, come scorrere lo schermo, mandare i messaggi vocali, o scriverli e andare su YouTube. Basti pensare che la migliore amica del piccolino della mia famiglia è la Siri, ossia, la voce guida dell'iPhone ed è una cosa buffa ed inquietante allo stesso tempo.
Va bè riaggancio.




sabato 9 aprile 2016

SEEK AND DESTROY

Da bambino avevo un sogno piuttosto malsano, mi sorgeva dentro non appena mi avvicinavo ad un negozio che vendeva bicchieri di cristallo, statuette di ceramica, servizi curatissimi di porcellana e oggetti in vetro dei più disparati. Mi sono chiesto come potesse fare affari un negozio del genere a Rozzano, mia mamma ogni tanto ci andava per comprare dei regali, però non l'ho mai visto pieno; forse perché il luogo era decisamente delicato e quindi era meglio per tutti se ci entravano poche persone alla volta, o forse perché alcuni prezzi erano davvero proibitivi, comunque questo raffinato esercizio è durato un bel po' di anni nonostante tutto.
Quelle volte in cui sono entrato, con le mille raccomandazioni di mia madre a non fare danni, avrei voluto tenere tra le mani una mazza da baseball e distruggere tutto. Mi sarei divertito a fracassare tutte quelle centinaia di statuette fragilissime, i servizi di bicchieri e piatti sempre esposti in bella mostra, avrei rovesciato i tavolini, fatto in mille pezzi i lampadari appesi, mi sarebbe piaciuto piegare ad uno ad uno, tutte le posate d'argento che tenevano nel bancone di vetro, per dirlo in poche parole avrei pagato un occhio della testa per ridurre in frantumi quel delicatissimo negozio. Se fossi stato ricco sfondato l'avrei proposto ai negozianti, cioè gli avrei dato un mucchio di soldi per soddisfare questo sfizio distruttivo, non l'avrei fatto così a sfregio, il sogno comprendeva anche il risarcimento in contati di ogni oggetto rotto; certo, sennò non avrei ottenuto alcun piacere. L'attrezzo che avrei usato, non poteva essere nient'altro che una mazza da baseball, come già detto, poiché nel mio immaginario la mazza rappresentava l'oggetto con il quale si poteva dare libero sfogo alla follia.
Ahimè non ero ricco prima e non lo sono nemmeno ora, per cui sono rimasto con la voglia di devastare quel negozio, che ormai ha chiuso i battenti, o uno di quel genere, così facendo mi sarei liberato di tutte le frustrazioni covate dentro (ammesso che ne abbia mai avute a quel tempo, o che ne abbia tuttora)  e comunque la soddisfazione sarebbe stata impareggiabile.
Ho letto di alcuni posti, tipo delle onlus o giù di lì, dove vengono organizzate serate in cui è possibile rompere dei vecchi mobili, proprio per esternare la rabbia repressa, ma non è la stessa cosa, almeno per quel che mi riguarda, io voglio un bel negozio con tanti e tanti vetri.


venerdì 8 aprile 2016

MANCA SOLO LA STAMPA

Siamo giunti a scrivere i ringraziamenti per il disco e da qui in poi il passo per la pubblicazione sarà breve; spero. Ci abbiamo messo fatica, impegno, soldi e speranze per arrivare a concludere il nostro primo album, con l'augurio che sia pronto per la data del 25 maggio al Boccaccio di Monza. Non sarebbe male avere il disco pronto per essere distribuito al primo concerto del 2016, ok nel frattempo siamo riusciti anche a scrivere tre brani nuovi, ma li eseguiremo dal vivo e poi ci penseremo ad inserirli nel secondo album, che se va come deve andare, per il 2017 ce ne sarà un altro targato Twenty Euro For Love. Grande eccitazione per il concerto e per le date future, c'è anche una remota possibilità di finire in radio per la presentazione ufficiale e poi, quel che sarà, sarà.
Aggiornamenti e approfondimenti in seguito, nel frattempo visitate la pagina Facebook Twenty Euro For Love.


giovedì 7 aprile 2016

DOGGY "LIFE" STYLE

Il cane è il migliore amico dell'uomo, ma l'uomo con il cane non è il migliore amico di nessuno.
Mi spiego meglio:
E' ormai quasi un decennio che frequento assiduamente i giardinetti per i bambini, non perché sia una specie di nostalgico Peter Pan, ma perché avendo tre figli, i luoghi di svago a costo zero sono solo quelli lì. Non so per quale strano motivo, ma i giochi dei bambini vanno sempre di pari passo alle aree cani. Ok, d'accordo che di spazi a disposizione ce ne sono pochi e quando si crea un'area verde, questa la si possa dividere per il diverso bacino di utenza, per cui cani da una parte, bambini dall'altra. Eppure le cose nella stragrande maggioranza delle volte non seguono questo corso, nel senso che i bambini non vanno a giocare invadendo le aree cani e si può ben capire il motivo, ma al contrario, i cani sono legittimati ad andare ovunque persino negli spazi dedicati ai più piccoli; perché?
Mi sono accorto che sono più considerati e tutelati gli amici a quattro zampe che non i bimbi e questo lo trovo davvero assurdo. Il cane è un animale a cui si può concedere il lusso di fare quel che gli pare e piace, o meglio, i padroni dei cani fanno quel cavolo che vogliono con i loro animali, cioè: sporcano i marciapiedi con le loro deiezioni, innaffiano giardini, prati, angoli dei palazzi con le decine di urinate quotidiane, possono andare in giro senza guinzaglio e come dicevo prima, invadere gli spazi non pensati per loro. Al bambino invece è vietato tutto perché l'educazione dell'individuo parte per prima cosa da tutta una serie di divieti. I bambini non sporcano in giro poiché c'è un genitore sempre pronto a raccogliere o pulire qualora questi si lascino andare in libertà non socialmente accettate, ma allora perché i padroni dei cani non possono fare lo stesso?
Io ho avuto due cani nella mia vita a cui ho voluto molto bene, però ora a posteriori, mi accorgo di quanti errori commettevo senza pensare che questi sbagli potessero ledere la libertà di qualcun altro.
Da premettere che ho sempre raccolto tutto ciò che lasciavano per strada, specie con il secondo poiché vivevo in centro a Milano. Per quanto riguarda il primo beh; vivevo a Rozzano dove il verde si sprecava. Ma non posso giurare che la mia condotta nei confronti di chi non voleva saperne dei miei molossi, fosse ineccepibile. A dire il vero, ho sempre visto male chi non li amava, cioè li reputavo degli esseri senza cuore e privi di bontà. Per questo motivo mi arrogavo dei diritti che non mi spettavano, come per esempio: lasciare libertà totale nel vagare per i parchi ai miei cagnoni. Ma non è giusto.
Potevo mettere la mano sul fuoco per quel che riguardava l'incolumità verso gli altri, dato che i miei cani erano davvero docili e mansueti, però potevano involontariamente provocare dei danni a cose e persone, e questo era impensabile per me allora, anche se estremamente possibile.
Forse la questione generale verte proprio su questo fattore, ossia, che i padroni dei cani li pareggiano alla stregua dei figli, per cui sono affidabili al cento per cento, quindi non possono essere costretti al guinzaglio o alla museruola nei luoghi affollati; possono sporcare perché non si può fare diversamente; possono andare negli spazi dei bimbi, perché in fin dei conti anche i cani sono dei bambini. Però a fronte di tutto questo, non si può prendere troppo da loro perché sono animali.
Ehi, ehi, c'è qualcosa che non va. Così non si può andare avanti.
In Italia abbiamo la cattiva abitudine di fregarcene delle regole, a maggior ragione, se queste limitano la libertà di esseri viventi a cui siamo affezionati e che si possono considerare dei membri di famiglia.
Io adoro gli animali però se ci fosse più educazione da parte di chi li possiede, li apprezzerei ancor di più. Loro non hanno colpe, povere bestie; però se vengono considerati come dei figli, allora vanno educati e limitati esattamente come i figli carnali, sennò non ci sarà mai spazio per una sana convivenza insieme. Pensateci.


martedì 5 aprile 2016

RAPIDO CAMBIO D'ABITO...

"...Per recitare ancora, lucido una moneta, esprimo un desiderio..."
Questa è l'inizio di una canzone dei Mamushka, la mia prima band, ma mai eseguita dal vivo e pochissime volte in sala prove. Si intitolava "Urlo di Coscienza" il motivo per il quale non l'abbiamo suonata era per uno stile che non ci apparteneva poi molto, però il testo mi piaceva e fu scritto da un amico della band.
Prendo in considerazione la strofa di questa vecchia canzone, per parlare di ciò che anni fa mi fece cambiare tipologia d'abbigliamento, per cui il titolo del post calza a pennello.
Durante tutte le medie fino alla prima superiore, ero uno dei pochi che ascoltava il rap (oggi è meglio chiamarlo hip hop perché è più da duri) e di conseguenza seguivo lo stile del ghetto nel vestirmi, ossia: largo, molto molto largo. Ogni cosa che compravo erano di almeno tre/quattro taglie più grandi, sia pantaloni che felpe, posso dire di aver navigato per anni dentro gli indumenti, e cosa non da poco, li ho tenuti per tutta la mia crescita, essendo appunto, grandi quanto un adulto.
Dopo questa presa di posizione per distinguermi dalla massa, dalla voglia di essere un individuo che andava contro corrente, anticipando di quasi vent'anni la moda odierna, poiché il rap in Italia era agli albori, un giorno così all'improvviso decisi di cambiare.
Ero a Napoli quando sentì che era giunto il momento di rinnovarmi, di abbandonare il mio vecchio stile per trovarne uno nuovo tutto mio. Sì perché un po' mi stufò essere considerato quello che si vestiva come un pistola, a cui cadevano i pantaloni e navigava dentro le felpe e cosa non da poco, ritornai al primo grande amore: il rock. Da lì a poco cominciai a suonare la batteria, ma l'abbigliamento non era adatto, quindi nel capoluogo partenopeo avvenne la mia trasformazione.
Quando mi recavo a Napoli, oltre a far visita ad un milione di parenti, ero solito andare in giro per negozi e fu allora che dissi a me stesso che era giunto il momento di lasciare i vecchi panni per metterne dei nuovi. Così per la prima volta dopo anni comprai dei jeans della mia taglia, una camicia e delle scarpe serie. Detta così sembra che mi fossi trasformato in un tizio qualunque, certo indossavo degli abiti più umani, ma sempre con una certa dose di stilosa eccentricità.  Mi ricordo che i pantaloni erano color ghiaccio, la camicia era bianca e nera, per metà a quadretti e metà a righe, le scarpe dei mezzi stivaletti neri e per chiudere in bellezza, un bel paio di bretelle. Ah cavoli, dimenticavo la cosa più importante di tutte: i capelli. C'è stato un tempo in cui la mia testa era ricoperta da una folta chioma che però tenevo a spazzola, tranne per due lunghi ciuffi che mi arrivavano fin sotto il mento, ebbene, tolsi quei ciuffi e fu un vero taglio con il passato. Da lì in poi li avrei fatti crescere tutti. come ogni buon rocker che si rispetti, arrivandomi fino alle spalle. In poco tempo passai dal ghetto in rima. ai concerti urlati a squarcia gola, una metamorfosi degna di Kafka.
Eh già, storia di vita vissuta.


lunedì 4 aprile 2016

NON CHIUDETE DI SCATTO QUELLA PORTA

Da quando sono diventato padre è sorta in me una fobia piuttosto singolare, ossia: la paura delle porte.
Per quanto io abbia cercato il nome scientifico di questa fobia, non l'ho trovata, ce ne sono centinaia come: "Anatidaephobia Paura che un’oca in qualche punto imprecisato ci stia guardando"
ma la paura delle porte non è segnalata. Significa che sono l'unico pazzo che soffre di questa fobia? Non credo proprio. (ma poi dico, la paura dell'oca spiona?!?!)
Comunque, il timore per le porte deriva da un avvenimento capitatomi quand'ero bambino. Mi chiusi le dita della mano destra nella porta d'ingresso della casa di mia nonna, quando questa, si chiuse di scatto a causa di una forte corrente d'aria che la fece sbattere all'improvviso. Il dolore che mi provocò fu impressionante, tanto che ho rischiato di perdere le tre dita più lunghe della mano ed ora, ogni qualvolta sento i miei figli che giocano chiudendosi dietro le porte delle stanze, mi sale un'ansia terribile. E' avvenuto l'anno scorso che mia figlia si chiudesse le dita esattamente nelle modalità appena citata, ovviamente, dopo averla sentita piangere e aver realizzato il motivo per il quale stesse soffrendo di dolore, ho fatto una ramanzina a mio figlio che credo se la ricordi ancora. In effetti non penso sia servita a molto, dato che continua a chiudere le porte come se nulla fosse successo, specialmente quella della loro stanza, che guarda caso è un po' difettosa, e per chiuderla del tutto serve un colpo deciso.
Oltre ai miei figli più grandi, devo tenere conto anche del piccolino che segue a ruota i fratelli gattonando, quando loro si rincorrono per casa, si chiudono le porte per gioco e fanno scattare la maniglia. Il mio primo pensiero è un dito mozzato di netto.
Un momento, non finisce qui. In casa ci sono anche i gatti che stanno sempre attaccati ai piedi e non vedono l'ora di intrufolarsi nelle stanze appena vedono il movimento della porta chiudersi davanti a loro. Per questo motivo cerco di guardami intorno quando necessito un po' di privacy dai felini, anche se il timore rimane qualora siano i miei figli a richiederla, ho sempre paura che qualcuno schiacci inavvertitamente le zampe dei silenziosi quadrupedi, facendoli diventare dei bipedi, o addirittura dei serpenti pelosi a forma di gatto. Per ovviare parzialmente a questo tipo di problema, una manciata di mesi fa, abbiamo fatto mettere una porta scorrevole nel corridoio. Con questo tipo di chiusura è più difficile chiudersi le dita, poiché essendo più lunga la corsa per arrivare allo stipite, si ha il tempo per toglierle prima di ferirsi. Avrei voluto installarle in tutta la casa, ma il dopo l'esborso proibitivo dell'unica porta a scrigno, bisogna educare ogni membro della famiglia ad avere cura nel chiudere e aprire le porte. Certo, l'imprevisto è sempre dietro l'angolo o nella fessura, per questo motivo io vivo nell'ansia.
Ci sono! La soluzione definitiva sarebbe mettere delle tende, che fa tanto frikkettone e con queste non si farebbe male nessuno, Forse ne risentirebbe la privacy, specialmente in bagno ma pur di avere tutte le dita delle mani, si potrebbe anche pensare seriamente.


sabato 2 aprile 2016

IL GRANDE PRATO DEL SEMPIONE

C'è stato un tempo in cui tutti i giovani di Milano si radunavano al Parco Sempione di sabato pomeriggio, tra quelli c'ero anch'io. E' stato il periodo delle compagnie enormi, dei teli nello zaino, degli assalti al pizzettaro di Cadorna e di chili di hashish e marijuana consumata allegramente nel corso di un solo pomeriggio. Sono più che certo di ritrovare lo stessa tipologia d'utenza anche ora, però la differenza tra le due "epoche" è lo stato in cui si trova il parco allora rispetto ad oggi, ebbene, quando lo frequentavo io sembrava il MacArthur Park di Los Angeles o il Central Park di New York nelle ore peggiori, cioè: un degrado micidiale.
Il piccolo polmone verde milanese ha avuto il suo picco d'incuria proprio quando lo frequentavo assiduamente io, sia chiaro che non ho mai contribuito al suo stato di abbandono. Ho ripensato a quanto sporco e mal frequentato fosse a quei tempi, settimana scorsa nel momento in cui sono andato lì con i miei figli, trovandolo decisamente migliorato, ma già da un bel po'.
In quegli anni c'erano decine e decine di pusher che si aggiravano indisturbati per smazzare le sostanze dopanti, mentre borseggiavano i ragazzotti stupidi e strafatti con il loro karate marocchino. A tal proposito mi ricordo di una scena abominevole compiuta davanti ai miei occhi e quelli dei miei amici. Un giorno in cui bigiammo la scuola, ci recammo come d'abitudine in Sempione per bruciarci i pochi neuroni rimasti, al che, scattò una partitella di pallone tra pusher e fattoni. Ad un certo punto la palla finì dentro al laghetto più inquinato del mondo, roba da far ribrezzo anche vecchio sito "gore" o giù di lì, il Rotten. Arrivò un tizio baldanzoso che si gettò in acqua, dopo essersi spogliato di alcuni indumenti e con quattro bracciate riprese la palla birichina. Allo scroscio delle acque putride, si levò un boato di sdegno da parte di tutto il parco, che come dicevo, non era frequentato di certo dalla noblesse milanese. Il tizio tornato sulla sponda fangosa, si diede due scrollate, si rivestì e tornò a giocare come se nulla fosse. Mamma mia che schifo!
La colonna sonora del parco era uno continuo, fastidioso e scoordinato rumore di bongos, suonato male dagli alternativi più convinti (esattamente come canta Elio in "Parco Sempione") questo rumore faceva da tappeto tribale in quella giungla chiamato parco, anche se poi il luogo da dove proveniva quella specie di suono. erano gli spalti adiacenti al campo da basket.
Le zone preferite dai miei amici sono state sul prato dirimpetto l'arco della pace, alla destra dell'entrata di Lanza e sotto la torre accanto all'Old Fashion. Negli anni ho girato diverse zone e per ognuna di queste ho conosciuto la gente che la frequentava, che non si discostava molto da quelle accanto, per dirla in poche parole, chi frequentava il parco era l'alternativo a cui piaceva passare delle ore spensierate all'aria aperta, c'è da aggiungere però una cosa, il milanese alternativo non disdegnava però l'aperitivo nelle vie del centro, almeno era così per me quando mi aggregavo alla compagnia che preferiva qualcosa di chic piuttosto che i soliti locali di Ticinese, al contrario, quando invece mi ritrovavo con quelli più convinti era chiaro che finissi in qualche zona meno "pettinata". Qualsiasi fosse la zona dove si concludeva la giornata, tutto partiva dal nostro caro amico parco, cioè, come veniva chiamato il Sempione.
Questo che scrivo di seguito è il testo di una canzone che si cantava all'epoca, insieme al grido di "Valerio!!!" e faceva così:
"C'è un grande prato verde
 dove cresce un'erba strana
 che si chiama Marijuana
 questo è il grande prato del Sempione."




venerdì 1 aprile 2016

NATO SOTTO IL SEGNO DI RYOGA HIBIKI

Oggi ero in giro con mia moglie e chiacchierando del più e del meno, è spuntato fuori quel mio piccolo problema di orientamento di cui soffro da quando ho iniziato a muovermi da solo. Io l'ho sempre sottovalutato, dando la colpa alla mia distrazione e reputandolo un problemuccio da niente, ovvero una specie di bazzecola, una cosa di cui non dovrei preoccuparmi sul serio. Però dal momento in cui abbiamo notato che anche il nostro secondo figlio "soffre" dello stesso disturbo, abbiamo ragionato sulla questione in maniera più ravvicinata, cercando di correre ai ripari prima che si tramuti in una vera patologia, forse prima che diventi come me.
Avrei diversi aneddoti sulla mia incapacità di orientamento, molti di questi sono divertenti a parer mio, però se mi fermo a ragionare vedo che la cosa non è poi così simpatica, perché a volte mi sento intrappolato dentro ad uno spazio talmente vasto, per cui non so mai quale strada intraprendere per venire fuori degnamente.
Quando sono in giro la città mi appare sempre nuova e sconosciuta, come se fossi un turista straniero, mi stupisco spesso delle novità che posso trovare ad ogni angolo e mi sento a mio agio in universo di sorprese, però in certe occasioni mi arrabbio come una iena quando non riesco a trovare una strada percorsa decine di volte e più mi agito nel ricordarla, più il mio cervello si chiude, rifiutando di ragionare correttamente e fare il proprio dovere. In queste situazioni maledico la mia testa bacata ed entro nel panico più assoluto, il che comporta l'inesorabile allontanamento dalla meta.
Evito di prendere l'auto proprio perché si amplificano i momenti in cui queste incognite mi sovrastano e i tempi di ragionamento si riducono, vado in confusione e sbaglio strada; mi sento come dentro ad un labirinto.
Un paio di anni fa, mi sono messo alla prova cercando di uscire dal labirinto di siepi situato al parco della preistoria di Rivolta d'Adda. Ero con i miei due figli e menomale che c'era la maggiore con noi, sennò a quest'ora eravamo ancora lì che cercavamo una via di fuga. A dire il vero ci provai già una volta durante la gita di fine anno di quarta o terza elementare, inutile dire che ci misi così tanto tempo che a stento ritrovai la mia classe.
Uno dei casi più clamorosi riguarda il mio smarrimento dentro l'aeroporto di Malpensa.
Tutto ebbe inizio con la partenza della mia ex ragazza giapponese, che portai lì per farla ritornare a casa. Ci recammo alle partenze con largo anticipo e ad un certo punto mi ricordai della tariffa oraria del parcheggio. Le dissi di aspettarmi lì un paio di minuti, il tempo necessario per pagare e sarei tornato; tanto di tempo ne avevamo in abbondanza. Mi lasciai lei alle spalle e di fronte mi piombò addosso un punto interrogativo grande quanto la pista d'atterraggio; dove avevo parcheggiato la macchina?
Girai ovunque, presi corridoi, aprii porte, scesi e salii di continuo scale mobili a non finire, mi montò su un'ansia pazzesca e nel frattempo macinai minuti preziosi, sia per evitare di prendere la multa, sia per salutare lei che da lì a poco sarebbe salita sull'aereo. Realizzato quanto tempo stavo sprecando piombai in una spirale infinita senza via di scampo. Cominciai a correre e questa folle corsa mi fece arrivare davanti alla polizia di frontiera, con tanto di cani pronti ad abbaiarmi contro. Non trovavo l'uscita, come se l'avessero nascosta e messa un punto sconosciuto nel mondo. Improvvisamente apparvero delle porte scorrevoli che conducevano all'esterno, mi fiondai a perdi fiato e inavvertitamente urtai una delle due porte che si separò dal binario di scorrimento, facendo scattare l'allarme. Scappai fuori ma non era il parcheggio. Rientrai dalla stessa porta rotta e fuggi a gambe levate. Sudavo come un matto e per darmi energia utile, mangiai manciate di M&M's sporcandomi la bocca di mille colori. Poi trovai l'uscita giusta ma non ancora la mia auto. Iniziai una ricerca forsennata e finalmente riuscii a pagare quel dannato parcheggio. Ero sudato fradicio, stanco morto e dipinto in faccia con i colori dei cioccolattini colorati. Per arrivare a pagare una sosta ulteriore nel parcheggio di Malpensa impiegai più di un'ora; troppo tempo, davvero troppo, troppo tempo. Ripartii con la forza della disperazione e attraversai le porte scorrevoli, sperando di fare in tempo a salutare colei che era prossima alla partenza. Si aprirono le porte e me la ritrovai davanti in lacrime. Appena mi vide mi insultò in giapponese e poi anche in italiano, mi ne disse così tante che non ci credevo. Ma la cosa più sconcertante di tutte, era che avevo parcheggiato l'auto a venti metri dall'unica porta dalla quale eravamo entrati e poi seduti sull'unica panchina posta a pochi passi dalla stramaledetta uscita. Se avessi usato il cervello il pagamento l'avrei compiuto in tre minuti netti, se avessi dovuto nel mentre, allacciarmi le scarpe, comprare un panino e contare quanti aerei partivano o atterravano, in effetti la questione l'avrei risolta in un minuto, invece ci impiegai più di un'ora!
Di peripezie topografiche ne avrei davvero un'infinità ma per amor proprio le tengo per me.
Cercherò per quanto possibile di evitare a mio figlio, la stessa piaga che da più di trent'anni mi affligge. Ci faremo aiutare da uno specialista se serve, ma prima di tutto, chiederò se è possibile un rimedio anche per il sottoscritto, poiché a volte il mio disturbo, mi deprime.
E' ovvio che ci andrò con mia moglie, perché sennò, come faccio a trovare la strada?


Per chi non conoscesse il personaggio qui sopra, suggerisco di leggere Ranma 1/2 e capirete tante cose...

COME UN ANNO FA

 L'anno scorso siamo rimasti rinchiusi per mesi a causa di un virus letale, sconosciuto e altamente aggressivo, dopo un anno siamo ancor...