venerdì 1 aprile 2016

NATO SOTTO IL SEGNO DI RYOGA HIBIKI

Oggi ero in giro con mia moglie e chiacchierando del più e del meno, è spuntato fuori quel mio piccolo problema di orientamento di cui soffro da quando ho iniziato a muovermi da solo. Io l'ho sempre sottovalutato, dando la colpa alla mia distrazione e reputandolo un problemuccio da niente, ovvero una specie di bazzecola, una cosa di cui non dovrei preoccuparmi sul serio. Però dal momento in cui abbiamo notato che anche il nostro secondo figlio "soffre" dello stesso disturbo, abbiamo ragionato sulla questione in maniera più ravvicinata, cercando di correre ai ripari prima che si tramuti in una vera patologia, forse prima che diventi come me.
Avrei diversi aneddoti sulla mia incapacità di orientamento, molti di questi sono divertenti a parer mio, però se mi fermo a ragionare vedo che la cosa non è poi così simpatica, perché a volte mi sento intrappolato dentro ad uno spazio talmente vasto, per cui non so mai quale strada intraprendere per venire fuori degnamente.
Quando sono in giro la città mi appare sempre nuova e sconosciuta, come se fossi un turista straniero, mi stupisco spesso delle novità che posso trovare ad ogni angolo e mi sento a mio agio in universo di sorprese, però in certe occasioni mi arrabbio come una iena quando non riesco a trovare una strada percorsa decine di volte e più mi agito nel ricordarla, più il mio cervello si chiude, rifiutando di ragionare correttamente e fare il proprio dovere. In queste situazioni maledico la mia testa bacata ed entro nel panico più assoluto, il che comporta l'inesorabile allontanamento dalla meta.
Evito di prendere l'auto proprio perché si amplificano i momenti in cui queste incognite mi sovrastano e i tempi di ragionamento si riducono, vado in confusione e sbaglio strada; mi sento come dentro ad un labirinto.
Un paio di anni fa, mi sono messo alla prova cercando di uscire dal labirinto di siepi situato al parco della preistoria di Rivolta d'Adda. Ero con i miei due figli e menomale che c'era la maggiore con noi, sennò a quest'ora eravamo ancora lì che cercavamo una via di fuga. A dire il vero ci provai già una volta durante la gita di fine anno di quarta o terza elementare, inutile dire che ci misi così tanto tempo che a stento ritrovai la mia classe.
Uno dei casi più clamorosi riguarda il mio smarrimento dentro l'aeroporto di Malpensa.
Tutto ebbe inizio con la partenza della mia ex ragazza giapponese, che portai lì per farla ritornare a casa. Ci recammo alle partenze con largo anticipo e ad un certo punto mi ricordai della tariffa oraria del parcheggio. Le dissi di aspettarmi lì un paio di minuti, il tempo necessario per pagare e sarei tornato; tanto di tempo ne avevamo in abbondanza. Mi lasciai lei alle spalle e di fronte mi piombò addosso un punto interrogativo grande quanto la pista d'atterraggio; dove avevo parcheggiato la macchina?
Girai ovunque, presi corridoi, aprii porte, scesi e salii di continuo scale mobili a non finire, mi montò su un'ansia pazzesca e nel frattempo macinai minuti preziosi, sia per evitare di prendere la multa, sia per salutare lei che da lì a poco sarebbe salita sull'aereo. Realizzato quanto tempo stavo sprecando piombai in una spirale infinita senza via di scampo. Cominciai a correre e questa folle corsa mi fece arrivare davanti alla polizia di frontiera, con tanto di cani pronti ad abbaiarmi contro. Non trovavo l'uscita, come se l'avessero nascosta e messa un punto sconosciuto nel mondo. Improvvisamente apparvero delle porte scorrevoli che conducevano all'esterno, mi fiondai a perdi fiato e inavvertitamente urtai una delle due porte che si separò dal binario di scorrimento, facendo scattare l'allarme. Scappai fuori ma non era il parcheggio. Rientrai dalla stessa porta rotta e fuggi a gambe levate. Sudavo come un matto e per darmi energia utile, mangiai manciate di M&M's sporcandomi la bocca di mille colori. Poi trovai l'uscita giusta ma non ancora la mia auto. Iniziai una ricerca forsennata e finalmente riuscii a pagare quel dannato parcheggio. Ero sudato fradicio, stanco morto e dipinto in faccia con i colori dei cioccolattini colorati. Per arrivare a pagare una sosta ulteriore nel parcheggio di Malpensa impiegai più di un'ora; troppo tempo, davvero troppo, troppo tempo. Ripartii con la forza della disperazione e attraversai le porte scorrevoli, sperando di fare in tempo a salutare colei che era prossima alla partenza. Si aprirono le porte e me la ritrovai davanti in lacrime. Appena mi vide mi insultò in giapponese e poi anche in italiano, mi ne disse così tante che non ci credevo. Ma la cosa più sconcertante di tutte, era che avevo parcheggiato l'auto a venti metri dall'unica porta dalla quale eravamo entrati e poi seduti sull'unica panchina posta a pochi passi dalla stramaledetta uscita. Se avessi usato il cervello il pagamento l'avrei compiuto in tre minuti netti, se avessi dovuto nel mentre, allacciarmi le scarpe, comprare un panino e contare quanti aerei partivano o atterravano, in effetti la questione l'avrei risolta in un minuto, invece ci impiegai più di un'ora!
Di peripezie topografiche ne avrei davvero un'infinità ma per amor proprio le tengo per me.
Cercherò per quanto possibile di evitare a mio figlio, la stessa piaga che da più di trent'anni mi affligge. Ci faremo aiutare da uno specialista se serve, ma prima di tutto, chiederò se è possibile un rimedio anche per il sottoscritto, poiché a volte il mio disturbo, mi deprime.
E' ovvio che ci andrò con mia moglie, perché sennò, come faccio a trovare la strada?


Per chi non conoscesse il personaggio qui sopra, suggerisco di leggere Ranma 1/2 e capirete tante cose...

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