lunedì 4 maggio 2015

AD UN CERTO PUNTO BISOGNA SAPER DIRE ADDIO

Ho un passato da libertino estremo, godereccio eccessivo, da nottambulo viveur e alcolista incallito; per non parlare poi, della mia affezione alla filosofia dello sballo, data da sostanze più o meno legali.
Durante la mia gioventù da scapestrato, ho portato avanti questi capi saldi di decadente baldoria con una certa costanza, tanto da durare parecchio nel tempo e credere che sarebbero arrivati fino alla fine dei miei giorni. Ho sempre sostenuto, che la vita fatta di eccessi fosse quella che più mi si confaceva, proprio perché non ho mai interpretato lo sballo come un limite o come un problema, nel senso che, non ho dato nessuna attribuzione al mio stato di eccitazione/ebbrezza/relax/torpore a qualcosa riconducibile ad un disagio interiore. Ho fatto quel che ho fatto, per un semplice motivo: il piacere di farlo.
Adoravo andare in giro di notte con la testa in preda a misteriosi vortici, che rendevano i miei tragitti decisamente ondulati o poco stabili. L'alcol aveva la capacità di farmi abbandonare le dure regole sociali e rendermi molto più loquace e spigliato in mezzo alla gente. Non mi dava alcun freno inibitorio e grazie alla magia etilica, ho trascorso delle belle serate in compagnia di facili emozioni.
Quando mi accorgevo di aver bevuto troppo, allora cercavo di rimettermi in sesto con qualche "sigaretta condita", che di fatto non diminuiva l'effetto, però mi faceva fluttuare nell'aria con un sorriso stampato in faccia, qualunque fosse la situazione intorno a me. Sulla questione fumogena del mio passato, ho dato molto in termini di conoscenza della materia, cercando di approfondirla tanto anche in solitaria e non solo con gli amici. Avevo una bella media di joint consumati al giorno, partendo in tarda mattinata e finendola la mattina del giorno dopo, arrivando a più di una dozzina di manufatti erboristici aspirati in 16/18 ore. Ogni occasione era buona per aver tra le mani un joint e la faccenda mi piaceva parecchio, soprattutto se ci univo anche la musica come sottofondo. Amavo liberare la mente dalla realtà circostante, per poi partire con i classici viaggioni epici che mi portavano laddove, non sarei mai riuscito ad arrivare con la mente sana. In quel periodo non mi rendevo conto per davvero del cose che mi succedevano, ero in una specie di sogno infinito in cui la percezione della verità era alterata o drasticamente rallentata. Tutto quello che sentivo, vedevo o toccavo era evanescente, senza spessore. Nulla mi restava in testa per un tempo utile al ricordo futuro; era come se in realtà non esistesse nulla e per questo, niente di ciò che facevo, portasse dietro di sé una colpa, qualora fosse presente. Semplicemente, era fantasia, fantascienza a volte persino un incubo.
Non tutto però è stato concepito dal mio cervello come una festa, o come un sogno. Qualche volta è capitato anche di essere stato fagocitato dai pensieri, quelli brutti; in cui i danni si moltiplicavano se ero sotto qualche effetto strano. Da che mi ricordi, ho nutrito spesso un certo senso di ansia, come un'angoscia latente, dovuta alla paura di perdere il mio tempo o di essere io stesso una perdita di tempo. Ho cercato di avere delle risposte da me stesso, quando però non ero in condizione di darne e la cosa mi faceva cadere dentro un precipizio senza fine. Ribadisco che non ho mai avuto dei problemi seri, né con la mia famiglia e né con qualcun altro, ho sempre vissuto una gioventù felice, però affetto ogni tanto, da una leggera depressione data forse dalla noia.
Quando vedevo all'epoca, delle persone più grandi di me che si limitavano nella vita notturna, e di conseguenza nell'alcol o nelle droghe leggere, ai miei occhi apparivano come degli schiavi a cui veniva negato lo sballo per una costrizione sociale; esseri incapaci di dire no ai doveri e piegati dalla moralità; noiosi, e poco eccitanti: dei morti in piedi. Per anni ho avuto paura di finire dentro una gabbia di regole e dovermi alzare ogni mattina, seguendo come una pecora, il sistema capitalistico ed abbandonare la vita da pseudo artistoide, che mi ero creato soltanto nella mia testa. Per quanto la mia vita da giovane, qualche volta poteva procurami delle riflessioni pericolose, era comunque meglio che finire a fare il bravo lavoratore oppure il maritino fedele o addirittura il padre di famiglia. Ero giovane e all'oscuro riguardo alla vera gioia della vita.
Fra non molto saranno passati dieci anni da quando vivevo senza regole, posso dire di essere maturato molto nel frattempo. Ho una famiglia meravigliosa dalla quale non posso separarmi nemmeno con il pensiero, per questo motivo ho smesso con quelle vecchie abitudini da scapestrato-nullafacente-sbandato, che potrebbero distogliere l'attenzione sugli individui più importanti della mia vita. Ogni tanto c'è chi mi offre di riproporre uno scenario passato, rifacendo esattamente ciò che veniva fatto una volta, senza pensare alle conseguenze; ma io ci penso eccome. Se sono in giro con i miei bambini, non tollero di perdere il controllo perché ho esagerato con qualcosa di poco lecito. Se sono da solo e ho l'occasione di bere e di fumare, penso a chi mi aspetta a casa e non sarebbe felice di sapermi ebbro o strafatto, se sono in procinto di arrivare a lavoro e potermi ritagliare del tempo per una cannetta, penso che non potrei dare il massimo e per questo venire penalizzato, o combinare qualche casino. No, no, ora ho delle responsabilità, il tempo per quello c'è stato, e tutto sommato sono contento di averlo fatto, ora non potrei rifarlo uguale, ma non perché sono un altro schiavo sociale, bensì perché è meglio vivere ogni momento con le persone che amo con la dovuta lucidità, piuttosto che rincorrere qualche vizio giovanile, apparendo come un fattone nostalgico agli occhi dei ragazzini di oggi, o peggio, un pessimo padre per i miei figli.


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