lunedì 9 gennaio 2017

IL PADRE CHE CREDEVO DI ESSERE

Ho quattro figli e questo è un dato di fatto. Posso dire che la notizia sia stata ben assorbita da tutti coloro che mi conoscono, per cui vado oltre, non sto ancora a comunicare di essere un pluripapà; lo sono, mi piace, è ciò che più amo fare.
La mia idea di padre è quella di un uomo che afferra le redini della crescita dei figli insieme alla mamma; essere complementare alla figura materna e fare esattamente la metà del lavoro genitoriale con la mamma; come dire: l'altra parte dell'emisfero. Non ci sono distinzioni tra padre e madre, insieme si collabora nella crescita avendo lo stesso potere, non c'è chi supera l'altro perché non è una gara, bensì un dovere da dividere e condividere.
Io ho sempre agito in questa maniera, credendo di essere in grado di fare esattamente ciò che mia moglie esegue con grande pazienza e capacità; ma non è così vero.
Mi sono accorto che le mie capacità vengono meno quando i figli sono (o sono stati neonati). Non ho il dono di infondere la tranquillità ai miei bambini in questa fase, sono completamente in balia dei loro pianti e crollo come un castello di carte.
Pur sapendo bene come si gestisce un lattante, cioè, come si cambia un pannolino o come lo si veste con il body e tutina, sono impacciato quando si tratta di doverlo cullare se piange disperato. Certo, la mamma ha un asso nella manica, anzi in questo caso nel seno, perché basta attaccarlo e il pianto si placa magicamente, però, non ci riuscivo nemmeno quando i miei primi due figli ricevevano il latte artificiale. E' come una specie di negazione a prescindere, nel senso che non è un compito che spetta a me, di conseguenza non posso permettermi di fare.
Un momento; il compito spetterebbe anche a me, perché potrei allattarlo in modo differente (anche con il latte estratto dalla mamma, non solo con quello artificiale) però in questa maniera entrano delle dinamiche che minano un pò l'allattamento naturale, per cui è un diritto che solo alla mamma spetta; ecco, forse così è più definito il senso delle mie parole.
Ma la mia incapacità si riflette anche nella gestione degli altri figli, perché a volte capita di giocare con loro senza freni e da qui ne scaturisce un degenero globale da mettere sotto sopra la casa.
Accade anche che mi intrometta nei litigi dei più grandi per stabilire un ordine comprensibile solo a me, senza dar loro modo di confrontarsi anche con le dispute. Oppure, ci sono momenti in cui li rimprovero senza creare qualcosa di costruttivo, cioè è lo stress che sbraita per me facendomi perdere le staffe.
Non è facile rimanere in disparte ed essere super partes, perché tendo a proteggere chi ha subito in qualche maniera un torto, quindi se vedo uno dei miei figli piangere o sento delle urla, cerco di capire e ridimensionare l'accaduto facendo sempre da pacere, ma non è così che si diventa grandi. I pedagogisti suggeriscono di lasciare che gli equilibri si stabiliscano tra fratelli, dando la possibilità che essi trovino il modo di comunicare senza l'aiuto di un genitore.
Potrei anche non svelare quanto sia negato nel riordino della casa, oppure, quanto mi faccia prendere dall'ansia nella preparazione dei figli prima di uscire di casa; ma non me ne importa, lo faccio lo stesso.
Quando mia moglie è rimasta in ospedale dopo il parto, ovviamente, tutto quanto è stato gestito dal sottoscritto, ma orca l'oca, quanto è stato difficile!
Vedendomi da fuori, davo l'idea di essere uno di quei papà che si vedono nei film quando vengono lasciati da soli con i figli. Confesso dicendo che ci sono stati attimi di anarchia pura o di ozio totale, nelle quale i tempi venivano dilatati senza un limite. In mio soccorso sono arrivate le zie e i cugini dei miei figli, che tenendosi a casa loro i più grandi, mi hanno dato la possibilità di essere concentrato solo sul più piccolo, ma le cose non erano molto differenti.
Il mio nemico numero uno è il tempo, per cui, non essendo un tipo organizzato, ho fatto ogni cosa con un ritardo mostruoso sulla solita routine.
In ogni attimo passato in queste condizioni, il rispetto nei confronti di mia moglie è aumentato in maniera esponenziale e gliel'ho detto spesso e lo sottoscrivo, ma l'idea che avevo di me e le capacità che credevo di possedere sono scivolate come un panetto di burro su una teglia rovente.
Ammetto che da quando mia moglie è casa io mi sono seduto sugli allori, perdendo quello smalto di cui andavo molto fiero e che mi faceva essere un papà differente da tanti altri. Ora sono diventato come loro, un incapace che delega alla moglie le questioni familiari, che esegue solo il lavoro in ufficio e che gioca a fare la rock star con la band. Questo non mi differenzia da quegli uomini che vanno a giocare a calcetto il mercoledì sera e poi vanno a mangiare con la squadra.
Ma che razza di uomo sono diventato?




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